Chloé (Marine Vacht) è una venticinquenne come tante, irrequieta, disoccupata e in cerca di affetto, in questo caso quello mancato di una madre assente (Jacqueline Bisset). La sua vita sembra radicalmente migliorare dal momento in cui decide di intraprendere un percorso di psicanalisi. Nel giro di breve tempo trova un lavoro in una galleria d’arte, si libera dagli ostinati spasmi addominali di origine psicosomatica e si innamora perdutamente, e viene ricambiata, del suo terapeuta Paul (Jérémie Renier). Una volta interrotto il rapporto medico/paziente per manifeste incongruenze deontologiche, i due ufficializzano la loro storia andando a convivere in un bellissimo appartamento nel centro di Parigi. La serenità della nuova coppia è destinata però a durare davvero poco perché ben presto la donna viene a conoscenza di una verità scomoda. Paul ha un gemello monozigote che esercita la sua stessa professione in un altro zona della città e con il quale inspiegabilmente di rifiuta di parlare da anni. Ma chi è veramente Paul? Cosa le nasconde e soprattutto perché? Sconvolta dalla scoperta e intenzionata a scoprire qualcosa di più su l’uomo che ama, Chloé si reca nello studio di Louis - interpretato anch’esso da Renier - fingendosi una paziente. I due, sin dal primo incontro, si troveranno invischiati in un tunnel di pura passione erotica che li porterà ad intrecciare una relazione violenta e clandestina dagli esiti (im)prevedibili.
Doppio amore - titolo originale L’amant double - nasce e si sviluppa attorno al tema, non propriamente inedito, del doppio che emerge senza alcuna possibilità di equivoco, sin dal titolo. Un gioco di osmosi, rimandi e citazioni manifeste - da Brian De Palma a Stanley Kubrick e Roman Polanski - che prende le mosse dal romanzo breve di Joyce Carol Oates, Lives of the Twins. François Ozon riflette sull’ambiguità della natura umana e lo fa attraverso l’eleganza formale caratteristica del suo cinema. Questa volta però l’autore parigino - attualmente impegnato sul set di Alexandre - forza la mano abusando di simbologie didascaliche, l’insistenza ossessiva sulle superfici riflettenti di ogni tipo è a tratti addirittura fastidiosa, e il carattere generale che ne emerge è quello patinato da spot di eau de parfum. Uno degli aspetti potenzialmente più stimolanti del film, le sedute psicanalitiche a cui la ragazza si sottopone, viene depotenziato e banalizzato attraverso un utilizzo triviale delle topiche freudiane, eufemisticamente parodiate con frasi ad effetto come: “mentire per sedurre è una tecnica delle belle donne, soprattutto se frigide”.
Marine Vacth è l’indiscussa protagonista di questo thriller psicologico - ma soprattutto erotico - made in France. Lo scorso maggio in occasione della presentazione alla 70ª edizione del Festival di Cannes il film ha fatto molto parlare di sé proprio per le esplicite scene di sesso fra i due protagonisti. Ma se Jérémie Renier - al suo recente esordio alla regia nelle sale francofone con Carnivores - fedelissimo dei fratelli Dardenne e già collaboratore di Ozon in Amanti criminali e Potiche - La bella statuina, è nuovo a questo genere di clamori sulla croisette, lo stesso non si può dire per la Vacht che nel 2013 è stata scoperta dal grande pubblico in Giovane e bella, proprio grazie al controverso ruolo di un’adolescente della borghesia parigina che si prostituisce per noia. La bellezza acqua e sapone e il fisico androgino dell’attrice ventisettenne ne fanno la musa perfetta per un autore a cui da sempre piace indagare nei meandri della psiche femminile senza mai rinunciare al gusto per la provocazione. Esplorare l’ignoto, ciò che è Altro e così conoscere qualcosa in più di sé stessa è l’obbiettivo di Chloé che, come un bambino, si approccia al mondo esterno con istintiva fisicità.
Il corpo di donna, vero fulcro organico attorno al quale si snoda l’intera narrazione, viene sondato, violato, esibito, invaso, deformato e venerato. Il film apre mostrando Chloé in un salone di bellezza alle prese con un drastico cambio di look che le modificherà la fisionomia - dai lunghi capelli castani passa ad un taglio netto alla garçonne che rende difficile non farci pensare alla Signora Woodhouse di Rosemary’s Baby - per poi catapultarci, nella sequenza successiva, nel bel mezzo di una visita ginecologica. Ozon ci mostra, letteralmente, l’interno del suo corpo, attraverso la ripresa di un esame pelvico a cui la donna si sottopone per indagare l’origine dei terribili dolori addominali che l’affliggono. La mente come parte integrante del corpo, la contiguità fra quest’ultimo e l’inconscio, la sessualità, gli istinti primari. Un perfetto body horror cinematografico - David Cronenberg docet - atto a innescare nello spettatore un senso di repulsione, una sensazione di violenza subita per il dover assistere inerme alle visioni recondite dei suoi luoghi fisici e alle mutazioni, autoindotte o inflitte, alle materie organiche che lo costituiscono.