Marine Vacth è l'incarnazione del desiderio. Lo è da sempre, per François Ozon; per cui tutto ruota intorno al corpo e alla corporeità, fin dalla timida e inquieta ripresa iniziale di Giovane e bella, seguendola su una spiaggia in riva al mare come Rohmer in La collezionista e in cui è il fratellino a osservarla da lontano, per poi spostarsi e affacciarsi guardingo sulla soglia della sua camera da letto. Un ruolo, quello di Isabelle, che sembra appositamente costruito sulla sinuosità delle forme della Vacth, sul taglio spigoloso del suo volto e uno sguardo carico di delicata lascivia, quasi angelica, divina.

Frigida e sensuale come la Deneuve tra Repulsion e Buñuel, è come se Isabelle interpretasse la parabola di una meno nota "eroina" moraviana, la Desideria – non a caso - di La vita interiore, uno dei romanzi più sovversivi dello scrittore romano, inusuale ed estrema, per il periodo storico-culturale, gli anni '70, ma sottilissima analisi dell'erotismo femminile. Moravia mette in scena una storia di educazione distorta, intervistando la sua giovane "ribelle" su tutto ciò che riguarda la sessualità, il rapporto con la madre e i beni materiali, in particolar modo; attraverso il simbolismo della vita interiore, realizzatosi per mano della "voce", Desideria racconta la sua repulsione per la borghesia e tutti quei valori che si impegnerà poi a profanare.

In questo senso, Moravia e Ozon realizzano due figure speculari, opache e attraenti, prese da una volontà dissacratoria vissuta, tuttavia, in maniera antitetica: da una parte, c'è il bisogno di estendere a un livello globale il significato dell'atto sessuale, simbolicamente intriso di una componente rivoluzionaria che è invece assente nel solipsismo di Isabelle. E la bellezza di Giovane e bella sta proprio nel riuscire a rendere la complessità e l'intransigenza di un tale vissuto, l'irrequietezza di una ragazza che sta a poco a poco rivelandosi in relazione a una sessualità che si consuma sotto le spoglie di una recollection in tranquillity, una meditazione sull'esperienza e sul bisogno di ritornarvici incessantemente; opera nuda e cruda, brutale e anche aggressiva specialmente nel modo in cui restituisce l'ambiguità del desiderio erotico, la cui vicenda sembra naturalmente proseguire in L'amante doppio.

Interpretata dalla stessa Marine Vacth, la protagonista si taglia i capelli, all'inizio del film: Isabelle è cresciuta ed è diventata Chloé Fortin, venticinquenne tormentata da uno strano male al ventre, che poi scopriremo essere la materializzazione di un senso di colpa atavico. Non c'è specialista che sappia trovare una soluzione al suo problema, per cui deciderà di rivolgersi allo psicologo Paul Meyer. I due si innamorano ma lei finirà a letto con il fratello gemello. Distaccandosi dall'impronta più autoriale del lavoro precedente, Ozon approda nuovamente al thriller (dopo i riuscitissimi Una nuova amica e Nella casa, per cui varrebbe un solo monito: non sottovalutare le conseguenze della letteratura) in cui, pur con delle soluzioni formali semplicistiche per ciò che riguarda il sostrato psicanalitico della storia, la caratterizzazione dell'eros irresoluto, equivoco e torbido è resa vertiginosamente bene.

Andavano approfondite determinate dinamiche, certo, ma è più plausibile l'ipotesi per cui il cineasta francese abbia voluto creare una conflittualità di corpi che sono semplici involucri, e che lasciano, in quanto tali, percepire la presenza di un vuoto al loro interno: il rischio della nuda esistenza, l'illusione d'esistere cui Chloé si stringe "risolvendola" nella componente sessuale, vista come unica presa di contatto con la realtà. Doppio amore è un affilato richiamo a Buñuel, nell’andirivieni tra dimensione onirica e quotidiana e nella collisione tra queste ultime, nella convulsa ricerca erotica (parte del moto della protagonista di Giovane e bella) e nel bisogno di godere della solitudine che ne seguirà, il che non può non riportarci alle enigmatiche circostanze Bella di giorno. In entrambi i casi l’amante è multiforme, ma lo sono anche l’erotismo e il desiderio. Ogni cosa è duplice, sconclusionata e torbida nella volontà di Chloé e del regista che ne mette in scena le perversioni, in un thriller saturo di pulsioni morbose ed eccessi fin dalla dissolvenza iniziale: il punto di vista della donna è inglobato dalla prospettiva dell’organo sessuale, l’origine della vita, di ogni aberrazione e prassi al di là dell’ordinario.