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Mappe per orientarsi tra cinema e videogioco

La tendenza topografica degli ambienti immaginali cinematografici si piega alla rappresentazione di un agire, piuttosto che alla solidificazione di una cornice: lo spazio non viene più inquadrato come limite o come “contenitore” ma al suo interno ci si muove di continuo, spesso freneticamente. Esso viene trasceso pur mantenendo la propria centralità: è il caso del recente Madre! di Darren Aronofsky, in cui l’abitazione (fulcro concettuale del film) viene sì inquadrata a più riprese dall’esterno, ma al tempo stesso (dall’interno) diviene un crocevia ineffabile in cui sono la protagonista e il suo spostamento a situarsi insistentemente al centro della scena. Al suo fianco, lo spettatore percorre continuamente delle distanze: incapace di soffermarsi su soglie o geografie e in grado solo di attraversarle.

Metafore della visione e dell’azione: dallo sguardo cinematografico al corpo videoludico

Cosa ne è della centralità dell’occhio quando dal dominio cinematografico ci si sposta a quello virtuale, quando si prende in considerazione il medium videoludico? Alcuni penseranno alla celebre sezione in cui il protagonista dell’avventura horror Dead Space 2 (Visceral Games, 2011) si opera l’iride col supporto di un macchinario, sostenendo che, saltuariamente, la centralità dello sguardo venga ribadita anche nella testualità virtuale. Circoscriviamo però questo esempio specifico –  nient’altro che una citazione desunta direttamente dall’ambito cinematografico – e sosteniamo invece quello che a tutti gli effetti ci sembra un defilamento dello sguardo in ambito videoludico: una scomparsa di “metafore della visione” e una preponderanza, più evidente che mai, di quelle che chiameremmo “metafore dell’azione”.

Re Artù e gli zombie: l’infinita querelle tra cinema e videogioco

Non ci troviamo dinnanzi a meri riferimenti che passano da un medium all’altro, bensì abbiamo a che fare con processi di contaminazione che allineano in prospettiva il cinema e il videogioco, interdefinendone le immagini quanto i racconti, interdefinendone le esperienze. Le specificità di queste contaminazioni sono evidenti: da una parte il cinema non può che far vivere un immaginario videoludico dal punto di vista iconografico, spaziale o narrativo (la frammentazione post-moderna, al di là dell’eco estetica); dall’altra il videogioco non può che riferirsi all’immaginalità cinematografica per fare il suo ingresso in un tessuto riconoscibile e familiare.

Cosa rimane della morte: il viaggio di Edith Finch

What Remains of Edith Finch (Giant Sparrow, 2017) è un videogioco d’avventura in prima persona, quel che in gergo videoludico viene definito walking simulator. È interessante esaminare quanto l’opera di Giant Sparrow propone, soprattutto dal punto di vista della riflessione immaginale: il titolo arriva a iscriversi infatti in un dibattito che si chiude sul dominio del visuale passando, significativamente, per quello interattivo proprio della testualità videoludica. Che cosa accade alla tanto discussa “morte delle immagini” quando esse da piatte si fanno pervasive, quando da osservabili si rendono “agibili”, quando dal paradigma di osservazione/interpretazione si passa al processo interattivo/manipolativo?

Blade Runner e l’Altro videoludico

L’universo Blade Runner sviluppa anche in campo videoludico: se nella fantascienza distopica di Dick l’alterità irriducibile è quella del robot antropomorfo, nell’ambito dell’interattività si arriva a parlare di Altro, banalmente, quando si ha a che fare con un nemico. E lo sviluppo della testualità videoludica si muove proprio in una crescente profondità del nemico, in un suo sempre più spiccato ed evidente spessore.