Leonardo di Costanzo si è già fatto riconoscere per la sua capacità di raccontare le relazioni. A cominciare dal suo documentario A scuola (2004), dove è riuscito a convivere con alcune classi elementari riprendendone i momenti più densi e importanti, passando per lo straordinario esperimento registrato in Cadenza d’inganno (2011), in cui fu il suo stesso protagonista a ribellarsi alle riprese per poi tornare a contattare il regista anni dopo per chiudere il film, fino a L’intervallo (2012), in cui sembra che stiamo osservando un pomeriggio di due ragazzi per poi scoprire che si trattava di una finzione, in tutti i suoi film il fulcro è il rapporto tra i personaggi e dei personaggi con la macchina da presa, costantemente messa in discussione.

Dopo L’intrusa (2017) arriviamo al 2021 con Ariaferma, un film a più alto budget che vede come interpreti principali Toni Servillo e Silvio Orlando, nei ruoli rispettivamente dell’ispettore capo di un carcere in fase di smantellamento e del più influente dei malavitosi in esso rinchiusi. Il contesto in cui la storia si svolge rimanda a numerosi film memorabili degli anni ’90 che hanno analizzato i rapporti di potere nelle carceri, come Il miglio verde o Le ali della libertà, ma viene usato per creare un prodotto 100% italiano e per nulla derivativo. Il carcere dove il film si svolge si trova immerso tra le asperità sarde ed è stato svuotato della gran parte dei suoi detenuti e dei suoi operatori in vista della chiusura. Al suo interno sono rimasti dodici detenuti, opportunamente spostati nella zona di prima accoglienza dei nuovi arresti, e una manciata di guardie frustrate all’idea di non poter rientrare a casa come speravano. Non si sa per quanti giorni dovrà durare questa convivenza forzata, privata di ogni attività a parte l’ora d’aria, con le visite sospese e la cucina ferma.

L’atmosfera tesa viene creata pezzo per pezzo, passando attraverso gli sguardi attoniti di guardie e detenuti man mano che la situazione si delinea. Servillo, ispettore a un passo dalla pensione, vuole mantenere un clima sereno ed è disposto a permettere l’espressione della propria umanità nel tentativo di tranquillizzare i detenuti e di dormire anch’egli più sereno. Un’eccellente interpretazione dell’attore italiano più presente, che riesce a far convivere nel volto e nel tono l’autorità e l’empatia anche nelle situazioni più tese.

Non tutte le guardie sono però del suo stesso avviso, angustiate dal pensiero di ottemperare agli ordini ricevuti e dalla precarietà del contesto in cui stanno lavorando. Tra i detenuti serpeggia l’insoddisfazione, una costante in ogni carcerato che fa appello a un qualsiasi piccolo disagio per sfogarsi. Tra questi Orlando pare il più pacifico, oscillando con equilibrio da acrobata tra le necessità dei compagni e la costruzione di un rapporto di fiducia con Servillo, complice anche l’età comune.

Di Costanzo ci chiude in carcere insieme a loro, sfruttando al massimo l’estetica della struttura semi abbandonata come fosse un labirinto di cui trovare il centro, che si trova proprio dove aumenta il contatto umano. La sequenza più lunga e appassionante del film si svolge proprio durante una cena a lume di candela, improvvisata a causa di un calo di corrente, predisposta fuori dalle celle, con tutti i personaggi intorno al tavolo. Un angolo di suggestiva pacificazione, dove i confini dei ruoli sembrano svanire, un quadro che tenta di rifuggire la propria intrinseca precarietà cercando di instaurarsi come un nuovo ordine.