Un film da solo è giusto un remake, ma già due denunciano intenzioni da franchise. E proprio questa pare l'intenzione di Kenneth Branagh, che torna sull'adattamento dei romanzi di Agatha Christie dopo il grande successo di Assassinio sull'Orient Express (2017), con un altro grande classico come Assassinio sul Nilo, già portato sullo schermo sia nella versione cinematografica del 1978 che in uno degli episodi della serie televisiva su Poirot con protagonista David Suchet.

E subito va detto che a Branagh della trama gialla, con la ricca ereditiera uccisa a bordo di un battello di turisti inglesi che risalgono il Nilo, sembra interessare giusto l'indispensabile: interi indizi e snodi della trama vengono eliminati, e tutto il balletto di interrogatori ai possibili sospetti – dal quale nessuna struttura narrativa tratta dalla Christie può evidentemente smarcarsi – viene svolto un po' svogliatamente e senza troppi sforzi di rendere plausibili i moventi di un crimine come, ohibò, l'omicidio. La stessa defunta, che nelle precedenti versioni aveva dalla sua tutto tranne la simpatia (ottima la versione televisiva di un'appena ventenne Emily Blunt), si trasfigura sotto i nostri occhi in un emblema di perfezione con le sembianze di Gal Gadot, dolente del fatto che sia il denaro in sé a portare odio.

Ciò che interessa davvero a Branagh, ed è in fondo così dall'alba della sua cinematografia, quando si dedicava alle versioni pop ma ineccepibili di Shakespeare, è la riattualizzazione dei grandi classici della tradizione inglese nel loro rispetto. Per questo al timone della sceneggiatura non può che esserci, per la seconda volta dopo Assassinio sull'Orient Express, uno come Michael Green, vero specialista della riscrittura di generi e mondi consolidati, dai supereroi (Logan - The Wolverine), a culti “intoccabili” della fantascienza (Alien: Covenant, Blade Runner 2049).

Nel mondo di Branagh e Green, il Poirot interpretato dallo stesso regista non è più la piccola testa d'uovo tanto geniale nel fare uso delle sue cellule grigie quanto sottilmente ridicola nelle sue affettazioni e manie di grandezza; anche i celeberrimi baffi impomatati, da sempre simbolo di rigore e malriposto orgoglio, diventano ora indice di trauma e vergogna che preludono a futuri sviluppi del personaggio. Se il Poirot gaudente e indolente di Peter Ustinov era indubbiamente un filo al di là del concept della Christie, ora l'ultimo dei positivisti fieri di sé diviene sotto i nostri occhi un uomo tormentato, che dichiara proprio sul finale davanti a tutti il proprio fallimento, ormai trasfigurato nell'eroe difettato di tanto crime scandinavo e inglese degli ultimi anni.

Nulla di male in questa infedeltà, e un altro grande personaggio come Sherlock Holmes si è molto giovato delle rivitalizzazioni a opera sia della versione televisiva “rockstar” di Benedict Cumberbatch che di quella cinematografica adrenalinica e beffarda di Guy Ritchie e Robert Downey Jr. Piuttosto, riattualizzare un personaggio significa saperlo rileggere e reinventare, anche in maniera apocrifa, traendo dal materiale originario angolature o spunti inediti che vadano a creare nuovi orizzonti di complessità e che erano lì giusto dietro l'angolo. Nella versione di Branagh e Green c'è invece il rischio che Poirot diventi sì un uomo più affine ai nostri tempi, ma anche molto più generico.

È un Branagh alla ricerca del perfetto equilibrio fra vecchio e nuovo, questo di Assassinio sul Nilo, anche con un pizzico di opportunità malcelata: accanto al Baedecker, inserisce senza tema di inverosimiglianza il blues nero, gli amori interrazziali, il lesbismo e financo i dirty dancing in un gruppo di ricchi inglesi degli Anni '30. Ma quello che gli riesce meglio, pur in tutta la sua retorica (e la sua finzione, fra computer grafica e riprese in Marocco invece che in Egitto), è proprio filmare i paesaggi con un gusto retrò alla David Lean, e accarezzare i suoi personaggi eterei con la calda luce del crepuscolo, come se fossero i simulacri di un mondo già morto, il battello sul Nilo una gigantesca bara di un glorioso passato perduto.