La città che dà il nome all’ultimo film di Wes Anderson, Asteroid City, è un luogo immaginario e circondato dal nulla nel bel mezzo del deserto americano. Rompono l’orizzonte solo i profili delle montagne rocciose, arancioni e stilizzate, come quelle di Willy il Coyote, mentre un piccolo road runner compare nelle prime immagini del film e in quelle di chiusura.

All’interno del cratere formato dalla caduta del corpo celeste si svolge una convention di giovani con la passione della scienza. Mentre gli scienziati in erba e i loro accompagnatori presentano varie invenzioni, un extraterrestre scende dal cielo, osserva gli umani, ruba un modellino di asteroide e poi se ne va. Il governo degli Stati Uniti, allarmato dall’accaduto, mette tutti in quarantena. Da questa convivenza forzata nasceranno amicizie, relazioni, amori. I personaggi, come soffocati dallo spazio in cui sono costretti, a volte varcheranno la quarta parete per entrare direttamente sul set o nella vita del loro creatore.

Con Asteroid City Anderson ci porta in un mondo di fantasia e irrealtà, che invece di essere popolato di cartoni animati si riempie di personaggi reali, con sentimenti umanissimi, e di attori che se ne vanno a spasso tra set, pellicola, dimensione narrativa e sogno (luogo e fattore chimico reagente nella formula della vita). Il risultato è un film per certi versi ancora più astratto, scomposto e sperimentale dei precedenti e per altri figurativo e calligrafico (la fotografia e l’inquadratura diventano come non mai mezzo di riproduzione per eccellenza del reale). A ciò si aggiunge una struttura narrativa a più piani e una serie infinita di personaggi, che se da un lato arricchiscono il film come in una perfetta e golosa torta a più strati, dall’altro lo rendono anche complesso e a tratti difficile da interpretare.

Impossibile nominare tutti gli attori famosi che partecipano ad Asteroid City ma è altrettanto impossibile non ricordarne almeno alcuni che danno vita a personaggi completamente andersoniani, tratteggiati con la precisione delle figurine e al tempo stesso straripanti di umanità. Jason Schwartzman, attore feticcio di Anderson fin da Rushmore, interpreta un fotografo di guerra, vedovo, con un figlio adolescente e tre figlie piccole al seguito, tutti impegnati ad elaborare lutto, dolore e inadeguatezza. Tom Hanks è il padre della moglie morta, che perde una figlia ma ritrova i nipoti. Scarlett Johansson è una diva bellissima, famosa ma soprattutto stanca, che vive quasi esclusivamente nei suoi personaggi e negli occhi degli altri. Tilda Swinton è una scienziata senza figli ma madre accogliente della curiosità dei giovanissimi allievi.

E agli attori adulti e affermati si uniscono i più giovani ma altrettanto efficaci: dallo sconosciuto Jake Ryan, nerd fulminato sulla strada dell’amore, alla più nota Maya Hawke, maestra divisa fra la passione per l’astronomia e la leggerezza della sua giovane età.

Nonostante la loro molteplicità e sfaccettatura tutti i personaggi di Asteroid City hanno però un filo rosso che li accomuna: inseguono qualcosa di inafferrabile (sogni, speranze, vie d’uscita), hanno debolezze da vincere (paure, disillusioni, dolori), si trovano davanti a cose incredibili a cui sono costretti a credere (che sia la morte o un alieno che scende sulla terra). Questo continuo inseguire la vita senza riuscire ad afferrarla mai - con difficoltà, senza strumenti adeguati e senza certezze - ci ricorda un po’ Willy il Coyote, che non appare ma in fondo abita un po’ questi personaggi, col suo spirito donchisciottesco stupito, ostinato e sognatore.

E in chiusura del film, quando ormai i personaggi hanno compiuto ognuno un proprio arco di trasformazione, le tre piccole figlie del fotografo giocano in lontananza con un Bip Bip. Come da copione non lo prendono ma - armate di identità fantastiche e formule magiche - sono quelle che lo vedono più da vicino.