Quello della periferia è evidentemente un tema del cinema europeo contemporaneo. Lo è perché è un tema dell’Europa “reale”, non c’è dubbio. Il cinema, però, in questi anni ha sentito il bisogno di articolare questa tensione soffermandosi su un’enfatica ed energetica nuova rappresentazione dei conflitti urbani, dei terrorismi, della militarizzazione delle città.

I Miserabili di Ladj Ly a Cannes nel 2019 fu il caso di quell’edizione. Oggi possiamo forse già dire che esiste un prima e un dopo I Miserabili, dove a questo dopo corrisponde una sorta di “nuovo cinema urbano” fatto di nuove folle e nuove tensioni. Seguono tutta una serie di film che, volontariamente o meno, in questi ultimi anni hanno sposato lo stesso immaginario e la stessa messa in scena. Per dirne alcuni: Shorta di Frederik Louis Hviid e Anders Olholm, Allons enfants di Giovanni Aloi, Il legionario di Hleb Papou, Ultras di Francesco Lettieri e, soprattutto, la serie TV di Rodrigo Sorogoyen Antidisturbios: Unità Antisommossa.

Athena arriva quest’anno e si presenta già come una naturale prosecuzione de I Miserabili (non a caso, oltre che ad essere diretto da Romain Gavras, è anche scritto da Ladj Ly). La storia è quella di una guerriglia, o meglio, di una guerra vera e propria. Dopo la morte, per cause ignote ma presunte della polizia, di un giovane del quartiere popolare di Athena, la comunità della zona (i giovani, in particolare) decidono di dichiarare guerra alla polizia. Karim, Moktar e Abdel – i tre fratelli del ragazzo morto – si spartiscono le tre direzioni del film. Il primo dirige la guerriglia (quasi come un generale dell’esercito), il secondo prosegue i propri affari criminali, il terzo cerca di tenere la famiglia unita e di calmare le acque.

Un caos di folle ed esplosioni. Un film di guerra che prende le traiettorie di questo “cinema urbano” e le innalza, portando il discorso a un altro livello di unicità. Il tutto a favore di un lirismo e di una coreografia di massa che sacrifica l’attinenza agli angoli “reali” della Francia, ma che allo stesso tempo si salva grazie a una consapevolezza di fondo che sa circoscrivere questo tour de force bellico in un contesto più coerente e, in realtà, per nulla ambiguo.

Di fatto, Athena è un film di ragazzi. Oltre al lutto, ai confronti sul senso di giustizia, c’è la dura e istintiva voglia di vendetta. E la coreografia e il lirismo, il ritmo adrenalinico e immersivo, più che a una semplice esibizione dei mezzi di Romain Gavras, sembra essere più un tentativo di incorniciare il film in uno spazio quasi videoludico. Questi fluidissimi piani sequenza – che oggi, ormai, appartengono più al videogioco che al cinema – ribadiscono che ci troviamo di fronte a una guerra che in continuazione si fonde con il gioco.

È una spinta naturale, che Karim tenta più volte di arginare ripetendo ai suoi “uomini” che non è un gioco quello a cui stanno partecipando. Non lo è, ma tutti faticano a crederlo. Tra una bomba e una molotov, i protagonisti continuano ad essere interrotti dalle chiamate della madre. I ragazzi stanno male. E Romain Gavras, in un esplicativo finale (per nulla ambiguo, al massimo imprudente), sembra sapere con certezza a chi attribuire tutte le responsabilità.