L’opera prima alla regia di Jasmine Trinca, attrice a trecentosessanta gradi tra cinema e televisione, è un panorama (ritratto non sarebbe del tutto la definizione giusta) di due donne, madre e figlia, che non si servono di parole. Difatti, tralasciando qualche rumore di fondo e una sonora risata iniziale, non vi sono dialoghi o enunciati verbali. Potrebbe assomigliare quindi a un film muto? Secondo Trinca assolutamente sì, in quanto si ispira effettivamente alle opere buffe e alle produzioni di tanto tempo fa, confermando quanto la condivisione dei silenzi e delle parole non dette, sia molto spesso necessaria.

Parlavamo di panorama e non di ritratto. Roma e la sua calura estiva sono lo sfondo della passeggiata metaforica e spirituale di una mamma (Alba Rohrwacher) e di sua figlia (Maayane Conti), anime erranti attraverso una città vuota che si cercano, si rincorrono, giocano e si salvano a vicenda. Non possediamo le circostanze date, tantomeno una biografia di entrambe le figure, conosciamo solo il rapporto di sangue e affettivo che lega le due i cui ruoli vengono ribaltati. In ogni inquadratura dove mamma e figlia appaiono, vi è una costruzione poetica, le azioni partecipano in base al luogo in cui si trovano, caricandosi di senso. Ci basta solo questo per attivare una chiave di lettura della metafora che Jasmine Trinca ha costruito: l’unicità e l’essenzialità di un amore genitoriale sono racchiuse in “un’indagine sulle strade luminose e oscure della maternità e di ogni figliolanza”.

Il ruolo della mamma doveva inizialmente essere assegnato alla stessa Trinca, poiché desiderava fortemente rendere omaggio alla sua vera madre, scomparsa improvvisamente pochi anni fa. Quindi, chi meglio di lei. Ad Alba Rohrwacher è però spettata l’interpretazione di una figura così complessa ed eterea. Munita di una grossa valigia e vestita di un giaccone pesante extra-large a quaranta gradi sotto il sole, la Rohrwacher disegna il punto di vista della regista, rispettando ritmi, riempiendo spazi, tessendo fili di sguardi con la sua piccola compagna di vita.

Roma assiste come calma e silenziosa testimone. Tra le cicale, il Tevere che scorre pigro e le opere statuarie che osservano taciturne il passaggio delle due figure, sboccia in un solo gesto tutta la complicità e l’affetto incondizionato che in undici minuti non aveva mai smesso di muoversi nei passi di una donna e di una bambina. Jasmine Trinca ci regala questo: il panorama en-plein-air del linguaggio intimo e segreto, eppure mai così esposto, di un rapporto d’amore di una mamma per sua figlia, di una figlia per sua madre.