Da tempo Kenneth Branagh si divide su due fronti, da una parte le mega-produzioni dai budget stratosferici, dall’altra i piccoli film, quelli più sinceri e personali, che meno risentono del gigantismo e delle grandi aspirazioni che hanno sempre pesato sul suo cinema. Belfast, presentato alla Festa del cinema di Roma, si colloca in quest’ultima, felice, categoria, sorretto dalle spinte autobiografiche e da una sincerità che da tempo non faceva capolino nei suoi lavori. Per ritrovare la stessa urgenza di raccontare bisogna andare indietro nel tempo, all’esordio shakespeariano di Enrico V, al bellissimo Nel bel mezzo del gelido inverno (anche questo, come Belfast, in bianco e nero, e sua vera dichiarazione d’amore per il Bardo, con buona pace di tanti robusti adattamenti) o al misconosciuto Gli amici di Peter, sorta di Grande Freddo british sulla piaga dell’Aids.

Siamo nella Belfast del 1969, allo scoppio dei Troubles, gli scontri nordirlandesi tra protestanti unionisti e cattolici repubblicani che insanguinarono la regione fino alla fine degli anni ’90. Il piccolo Buddy vive con il fratello maggiore, i genitori e i nonni nelle stesse vie abitate anche dai cattolici, divenuti improvvisamente veri e propri nemici. Il padre e la madre cercano di tenere fuori se stessi e i figli dal conflitto nascente ma ben presto dovranno fare i conti con quello che succede al di là della porta di casa.

Quale strada scegliere, quella giusta o quella sbagliata? E qual è l’una e qual è l’altra? Il cattolicesimo è una religione della paura, ma anche il protestantesimo non sembra da meno, a giudicare dalla predica che un invasato pastore (che ricorda l’Orson Wells di Moby Dick) propina ai fedeli. E poi i cattolici sono difficili da riconoscere: sono vicini di casa, compagni di banco, sono la bambina bionda in prima fila che fa battere il cuore del protagonista. I cattivi sono altri, sono folli e prepotenti come il Liberty Valance del film di John Ford, nascosti da entrambe le parti di quelle barricate che dividono, ma non proteggono, strade e quartieri.

Per difendersi da tutto questo Branagh regala al suo piccolo alter ego passioni e infatuazioni della propria infanzia, da Star Trek ai fumetti di Thor. In questo mondo filtrato dal suo guardo di bambino solo il cinema e il teatro sono a colori: a illuminare con la forza della fantasia il grigiore freddo e tagliente della realtà ci pensano le macchine volanti di Chitty Chitty Bang Bang con Dick van Dyke, i dinosauri e le eruzioni vulcaniche (senza tralasciare il “molto educativo” corpo di Raquel Welch) di Un milione di anni fa. Ed è così che il momento clou della lotta tra buoni e cattivi diventa come il duello di Mezzogiorno di fuoco, la resistenza solitaria di chi vuole fare la scelta giusta contro i tanti che per paura si nascondono e per stupidità si schierano dalla parte sbagliata.

Cercando un paragone con il suo amato David Lean, Branagh si muove questa volta più dalle parti di Breve incontro e Oliver Twist che di Lawrence d’Arabia o Il dottor Zivago. Certo la geometria delle inquadrature e dei movimenti di macchina, la luce perfetta di Haris Zambarloukos, il continuo gioco delle citazioni, la musica sottolineante di Van Morrison, rischiano spesso di sfiorare il manierismo. Ma non ci cadono quasi mai, grazie a un rassegnato umorismo e a un perfetto protagonista, lo strepitoso esordiente Jude Hill.

Sul suo viso d’altri tempi leggiamo la difficoltà di lasciare una terra piena di tensioni ma terribilmente amata, incarnata dalla filosofia pragmatica dei due spassosi nonni (Ciarán Hinds e Judy Dench, magnifici). Le radici sono importanti, significa avere la sicurezza di chi siamo, ma la strada per raggiungere Shangri-La, la pacifica città ideale di Orizzonte perduto di Frank Capra sognata dalla nonna di Buddy, non passa per Belfast. Come dice a un certo punto qualcuno, “gli irlandesi sono fatti per emigrare, basta che ne rimanga la metà a struggersi per chi non c’è più”. Branagh incarna entrambi gli spiriti, rendendo omaggio con Belfast “a chi è rimasto, a chi se n’è andato, e a chi si è perduto lungo la strada”.