Vagabondando sola come la nuvola di William Wordsworth, l’inestinguibile Loïe Fuller fluttuerà in poi alta tra i palchi delle Folies Bergère e l’inebriante air du temps della Belle Époque, cercando, senza la benché minima consapevolezza tecnica della danza, di infondervi una modernità tanto brillante quanto oltremodo distruttiva per la sua stesa essenza. Stéphanie di Giusto, conosciuta anche con lo stravagante pseudonimo “paf de chien”, racconta la storia dell’indispensabile personalità della Fuller - interpretata dalla poliedrica Soko - e la rivendicazione del proprio modo di intendere l’arte tersicorea. Durante il vapore febbrile di quegli anni, l’essenzialità di questa danzatrice aveva (e avrà) una sua ragion d’essere per essersi divincolata, in primo luogo, dal dogmatismo e dalle convenzioni che reprimevano la danza, chiudendola in una morsa sempre più stretta e insistente. Loïe Fuller sradica il dionisiaco dalle pulsioni soffocate e combattute, e quel larghissimo e onnipresente abito bianco che nobilita i suoi movimenti ne è una chiara e lucida metafora.
Il film scorre con la stessa fluidità di movimento delle danzatrici che compongono certi meravigliosi intermezzi e che accompagneranno la Fuller nelle sue più famose performance, come la sequenza in cui le vediamo librarsi alla stregua di “dorati narcisi nella brezza” del bosco circostante la casa adibita alle prove. Tra di loro non si può non constatare la delicata e quasi impalpabile presenza di Isadora Duncan, pioniera indiscussa della danza contemporanea ed interpretata da una sorprendente e “neonata” attrice Lily-Rose Depp, la quale riesce a rendere perfettamente l’idea di evanescenza, ma nello stesso tempo di inalterata e concreta presenza che distingueva i movimenti della Duncan, rivoluzionari e antidogmatici anch’essi per quel tempo ormai pronto, tuttavia, ad accoglierli e rinvigorirli.
Il monito per entrambe le danzatrici è di muoversi oltre i limiti conosciuti e prestabiliti, come oggi direbbe il notissimo coreografo israeliano Ohad Naharin, una delle personalità più autorevoli e innovative del campo. E quest’oltre irruentemente varcato concerneva condizionamenti meramente formali, elusi dall’una con l’uso di effetti visivi all’epoca così straordinari da aver attirato perfino l’attenzione dei Lumière, e dall’altra con la pura danza, che non concedeva spazio a nulla che non fosse stato la sinuosità dei soli movimenti corporei: enfatico virtuosismo da una parte e scandaloso minimalismo dall’altra, due concetti che influenzeranno in maniera decisiva la visione della danza moderna e coeva, da Nureyev alle più eclettiche compagnie di danza contemporanea come la Parsons Dance Company, i Complexions Contemporary Ballet e, più di tutte, l’israeliana Batsheva.