L’insolito e strano connubio tra epos e farsa è sempre stato presente, in modi e in tempi diversi, nell’arte e nella letteratura – si pensi all’Orlando Furioso o alla Secchia rapita del Tassoni, o agli innumerevoli e variegati spettacoli di strada che rappresentavano attraverso giullari o pupi i momenti più significativi della storia di una nazione – ma, nel 1927, era un’unione inedita e quasi inconcepibile per il cinema.

Forse è da ricercare in questo il significato dell’assoluto insuccesso, di pubblico e soprattutto di critica, che inizialmente ebbe The General (meglio conosciuto in Italia come Come vinsi la guerra). Solo 12 anni dopo La nascita di una nazione che, narrando in chiave epica la tragedia della guerra civile americana, fondava dal niente un nuovo genere e un nuovo modo di far cinema, Keaton pareva dissacrasse il melodramma storico griffithiano unendolo innaturalmente con la migliore tradizione slapstick.

Eppure è proprio in questo apparente prendersi gioco della storia americana che si annida il genio assoluto di un film come The General. Da sempre appassionato di tutto ciò che aveva a che fare con le macchine o con la meccanica (si prenda in considerazione per esempio la macchina da presa protagonista di The Cameraman), Keaton vide nella storia vera del macchinista William Fuller, che ricatturò da solo una locomotiva confederata presa da soldati dell’Unione, l’ideale pretesto per unire l’utile al dilettevole, cercando di istruire le masse sulla loro storia attraverso il riso, prima sorprendendole con incredibili scene campali e poi facendole divertire con la sua consueta mimica adrenalinica, dimostrando grande maestria nell’uno e nell’altro elemento.

Infatti, ciò che forse stupisce di più lo spettatore moderno è come Keaton riesca a fare del paesaggio il suo teatro di posa, una vera furia degli elementi che sradica alberi, agita i fiumi e fa crollare ponti distruggendo intere locomotive. The General, se fatto oggi, sarebbe inconcepibile senza decine di set, innumerevoli effetti speciali, qualche dozzina di stuntmen e un greenscreen onnipresente.

Anche lo stesso Keaton, però, non è quello che siamo abituati a vedere: il Johnnie Gray di The General non è il solito personaggio keatoniano a disagio in un mondo che gli sta troppo stretto ma, tranne in alcune scene, è sorprendentemente arguto e addirittura capace di usare l’ambiente, quello stesso in cui molte volte lo abbiamo visto disorientato e disambientato, contro i suoi nemici. Rispetto ad altri suoi film, forse anche grazie alla storicità della premessa, The General è più lineare e meno dispersivo, risultando in un vero e proprio flusso inarrestabile di coreografie, mimica e azioni che scorrono ad una velocità tale da rendere disorientato non tanto Keaton, ma lo spettatore.

Vedere un film di Buster Keaton è sempre un piacere, ma lo è soprattutto in un film come The General, dove tutte le sue abilità - di regista, di narratore, di acrobata, di comico – sono come spinte al massimo. Per questo non è strano che ancora oggi sia preso come esempio da molti registi, attori e stuntmen (si veda l’omaggio resogli recentemente dal regista Chad Stahelski in un blockbuster come John Wick 2) e, davanti al suo puro amore e dedizione per l’arte, non ci si può non augurare che venga ammirato per molti anni a venire.