Calcinculo, l’opera seconda di Chiara Bellosi (classe 1973) presentata nella sezione Panorama dell’ultima Berlinale, è un film che merita di essere visto dalla più ampia platea di pubblico e cercheremo di spiegarvi ora il perché. La prima ragione è che si tratta di un teen movie in piena regola, perché parla di adolescenti, amori non corrisposti, confusioni identitarie e brutti anatroccoli che un giorno potrebbero diventare magnifici cigni.

Ma non strizza l’occhio a certo cinema mainstream o più scopertamente commerciale (pensiamo a tutta la progenie dei Notte prima degli esami o Come te nessuno mai), che di fatto usa il tema dell’adolescenza per solleticare i narcisistici ricordi dei bei tempi che furono nell’animo di un pubblico molto più che teen, nostalgico e giovanilista, ostinatamente restio ad accettare di crescere ed invecchiare. Scegliere di girare un film su questo tratto dell’età evolutiva (10/19 anni) è sempre un merito a parer nostro: di fatto l’adolescenza resta la zona buia, la figliastra di ogni forma d’arte o cultura, da sempre trascurata da ogni genere di attenzione politica, mediatica, culturale a livello nazionale.

Il secondo argomento è che Chiara Bellosi, solo alla sua seconda esperienza come regista, riesce (incredibilmente) ad utilizzare uno stile di conduzione del set non ordinario e tutt’altro che immediato, per nutrire di verità il tessuto emotivo/narrativo del film, semplicemente lavorando con l’umanità dei protagonisti non professionisti, senza la benché minima ambiguità né opportunismo. Così, per raccontare la storia di Benedetta (la bravissima Gaia Di Pietro alla sua prima esperienza cinematografica), quindicenne in piena crisi adolescenziale con un rapporto conflittuale con la madre, un sovrappeso da gestire e pochi pari a farle compagnia, e Amanda (il lodevole Andrea Carpenzano), un bellissimo trans che vive di espedienti nella roulotte di un luna park, i due attori sono stati tenuti a distanza per gran parte delle riprese, in modo da generare un desiderio e una tensione tra i due co-protagonisti, che si sono riversati naturalmente nelle emotività dei personaggi.

La commistione tra la curiosità reale di conoscersi e incontrarsi generata volutamente nei due attori sul set e il sentimento di graduale scoperta dell’altro e di sé stesso raccontato da Calcinculo è secondo noi la interessantissima chiave di lettura di questo piccolo gioiello di nuovo realismo italiano. Un realismo che prende attori inediti dalla strada, e usa i loro sentimenti reali per immortalare un esito cinematografico veristico sulla pellicola, un po’ al modo dello schiaffo desichiano al piccolo Enzo Staiola.

Questo modo di fare cinema, insieme allo stile fotografico della regia, uno stile fatto di chiaroscuri interrotti da improvvisi bagliori di falò accesi come riti iniziatici alla maniera girovaga per bruciare bozzoli larvali pronti a diventar farfalle; lo stile di un pedinamento nucale applicato al sentimento perdigiorno di una doppia adolescenza solitaria (quella di Gaia appena iniziata e quella di Amanda che sta per finire) ci ha ricordato prepotentemente un altro talento del nuovo cinema italiano, quello di Jonas Carpignano. Carpignano è ormai riconosciuto all’estero (con la candidatura sfiorata agli Oscar nel 2018 per A Ciambra e la produzione scorsesiana del film) e da noi ritenuto il capofila di un nuovo, meritevole e rappresentativo cinema d’autore italiano.

Il cinema degli ultimi - le famiglie dell’ex ceto medio che faticano ad arrivare a fine mese, le donne che ancora sacrificano le loro ambizioni per dedicarsi alla cura familiare, i ragazzini senza prospettive per il loro domani, il vuoto lasciato come eredità a nuove generazioni nutrite di illusioni di benessere poi bruscamente smentite - non della upper class, il cinema della verità, e non della consolazione, il cinema delle tematiche scomode e della nuova critica sociale, di costume, la critica dei gap, del divario tra il mondo che è e quello che dovrebbe essere o che ci piace raccontarci addosso.

Sotto l’ombrello di questo nuovo cinema vediamo scorrere titoli edificanti e coraggiosi come i due film di Chiara Bellosi appunto, ma anche i corti di Adriano Sforzi che con Jodie delle giostre (2011) in 13 minuti raccontava (allo stesso modo di Carpignano) un mondo così poco rappresentato come quello dei rom italiani delle giostre, i fautori del “nostro divertimento”, ancora penalizzati dalla atavica diversità insita nel nomadismo, o il coraggioso film di Isabella Sandri, Un confine incerto uscito nel 2021, che metteva il fuoco sulle ombre di un ambiguo rapporto a sfondo pedofilo tra un ragazzo e una bambina.  Sono tutte pellicole che esplorano luoghi poco frequentati dal cinema italiano, per lo più road movie che mettendo al centro del racconto un terzo personaggio metallico, riconoscibile in una roulotte, usano l’attraversamento di uno spazio fisico sconosciuto come espediente per esplorare uno spazio interiore altrimenti insondabile e insondato.

In Calcinculo lo spazio della roulotte è fondamentale per la metamorfosi di Benedetta, che perde il suo bozzolo/pigiama da bambina nel momento in cui mette piede nella casa ambulante di Amanda. Il personaggio del travestito interpretato magnificamente dall’eclettico Carpenzano (già molto apprezzato nel film di Bruni Tutto quello che vuoi o ne La terra dell’abbastanza dei fratelli D’Innocenzo nel 2018), è portatore di una capacità maieutica superiore a quella di una madre incapace di vedere il cigno in potenza in sua figlia, una maieutica che da subito si fonda su pochi, semplici ingredienti: amore gratuito, riconoscimento, ascolto.

Come a smentire il significato sottinteso veicolato dal titolo del film (che bisogna cioè prenderne di Calcinculo per crescere) che gioca sul doppio senso del nome della giostra a seggiolini, per nutrire in noi una tenue speranza: se accettiamo di salire sulla giostra della vita, e ci mettiamo in gioco, non è così improbabile trovare un piccolo incoraggiamento. Che si tratti di un calcio o di una spinta amorevole, sarà probabilmente anche la nostra percezione a fare la differenza.