Se mi si chiedesse di designare un cineasta contemporaneo come “il regista del sottosuolo”, credo che il primo nome che proporrei sarebbe quello di Bong Joon-ho. Degno successore delle cronache entomologiche di Shohei Imamura, in un ventennio il regista sudcoreano laureato in sociologia ha saputo mostrare al microscopio – eleggendo infatti lo zoom a cifra del suo stile – le tensioni di classe del XXI secolo e l’assurdità senza tempo del sentirsi umani in una manciata di film che spesso hanno tra le proprie ambientazioni spazi interrati, luoghi di isolamento e zone di passaggio nell’oscurità.

Dai canali di scolo e dalle gallerie ferroviarie di cui non s’intravede la fine in Memorie di un assassino al treno delle disuguaglianze a moto perpetuo di Snowpiercer, coi suoi cunicoli collocati sotto il pavimento; dai bassifondi pieni di edifici abbandonati in Madre al seminterrato e allo scantinato di Parasite; dall’appartamento dell’hikikomori protagonista di Shaking Tokyo (episodio del collettivo Tokyo!, gli altri due sono diretti da Gondry e Carax) al labirinto delle fognature in cui si nasconde la creatura in The Host. In testa a questa lista, ora che il film è arrivato nelle sale italiane distribuito da P.F.A. Films ed Emme Cinematografica, vanno aggiunti i sotterranei visti in Cane che abbaia non morde, opera prima datata 2000 di Bong, di recente ospite del Florence Korea Film Fest per una masterclass (che si può rivedere su YouTube).

Recuperando nell’incipit un’intuizione proveniente dal cortometraggio giovanile Memories in My Frame, il film fa intersecare le traiettorie di vari personaggi (un ricercatore universitario frustrato, l’irritabile moglie incinta di lui, una contabile idealista col sogno di diventare un’eroina dei media, la sua migliore amica che gestisce un chiosco, un’anziana signora, il guardiano del palazzone, un senzatetto) in seguito alla scomparsa di alcuni cani all’interno di un enorme complesso residenziale di periferia.

Il rapimento e il tentato omicidio dei cagnetti innesca una catena di reazioni scomposte e confronti illogici sempre sul punto di virare la farsa in tragedia della convivenza forzata, secondo quell’insolubilità di registri (satira sociale, melodramma domestico, orrore suburbano) che Bong eredita dalla contraddittoria storia dell’industria cinematografica coreana. Il regista di Taegu esplora con curiosità etologica il sottosuolo strutturale e morale del proprio paese (forse di ogni paese), brulicante di affaristi, pusillanimi e idealisti delusi, con toni tanto violenti e onirici quanto parodici presi in prestito da Panelstory di Vera Chytilova, sorta di novellino sui prefabbricati sovietici in costruzione.

Impegnata con gli imprevedibili stacchi dei primissimi piani e i piani sequenza inclinati in base all’andatura degli attori, la macchina da presa si allontana raramente dai blocchi giallognoli e biancastri dove s’incontrano e si scontrano gli abitanti, per sfruttarne ritmicamente l’ortogonalità: in orizzontale i corridoi esterni punteggiati dalle porte, attraversati dagli improbabili inseguimenti sostanzialmente slapstick, e poi l’orizzonte del tetto spiato grazie a un provvidenziale binocolo; in verticale i frenetici spostamenti in ascensore e le corse sulle scale, dall’ultimo piano fino agli inquietanti locali sottoterra dove ci si nasconde, si preparano agguati, si cucinano animali domestici – e la cui indagatoria profondità di campo era già stata precocemente saggiata da Bong nelle riprese di tubi e condutture del corto Incoherence, saggio finale del ’94 per la Korean Academy of Film Arts.

Pur con le sue comprensibili acerbità nel trattamento psicologico dei personaggi, oggi Cane che abbaia non morde (che all’uscita di inizio millennio fu un insuccesso commerciale in patria) conferma sin dall’esordio la vocazione del suo autore per un cinema capace di turbare e divertire, lasciando perciò il pubblico in trepidante attesa di vedere l’anno prossimo Mickey 17, l’ultima fatica sci-fi del regista, il quale a Firenze ha assicurato che non ci troveremo supereroi ma ancora una volta "persone goffe e un po’ stupide".

Lunga vita allora a questi residenti del sottosuolo, almeno sullo schermo, sotto lo sguardo dissettore e inventivo di Bong.