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“Cane che abbaia non morde” e il cinema del sottosuolo

Riconosciamo l’insolubilità di registri (satira sociale, melodramma domestico, orrore suburbano) che Bong eredita dalla contradditoria storia dell’industria cinematografica coreana. Il regista di Taegu esplora con curiosità etologica il sottosuolo strutturale e morale del proprio paese (forse di ogni paese), brulicante di affaristi, pusillanimi e idealisti delusi, con toni tanto violenti e onirici quanto parodici presi in prestito da Panelstory di Vera Chytilova, sorta di novellino sui prefabbricati sovietici in costruzione.

Le ostiche verità di “Snowpiercer”

Il treno rappresenta, ovviamente, la società contemporanea. Intrappolati in una parodia ante litteram del pensiero accelerazionista, gli uomini si trovano a bordo di una macchina condannata alla corsa perpetua, la cui unica possibilità di sopravvivenza è rappresentata dal mantenimento della propria velocità di crociera. Fuori, ci viene detto, c’è solo freddo e morte. La vita a bordo dello Snowpiercer è organizzata secondo rigidi criteri post-fordisti. Snowpiercer, similmente a Parasite, si propone di insegnare allo spettatore una verità semplice quanto ostica: impara il tuo posto e mantienilo. Rifiutalo, e tutto ciò che hai intorno andrà in pezzi.

“Memorie di un assassino”. Sulle tracce di Bong Joon-ho

Com’era prevedibile, lo storico trionfo di Parasite agli Oscar ha riacceso l’entusiasmo del pubblico italiano per Bong Joon-Ho. La famiglia Kim torna di prepotenza in cima al nostro box-office, ma c’è da sperare che il tremendo quartetto non basti da solo a saziare la voglia di conoscere questo grande autore contemporaneo. In circostanze così favorevoli infatti, quella che rischiava di passare sotto silenzio come l’ennesima riscoperta tardiva per pochi appassionati, potrà forse attrarre più attenzione attorno a un classico (da noi) passato in gran parte sotto silenzio. Non parliamo di Parasite ovviamente, ma dell’altro film di Bong in sala in questi giorni, giunto dopo tredici anni dall’uscita a colmare finalmente la lacuna della mancata distribuzione cinematografica in Italia col titolo Memorie di un assassino.

Bong Joon-Ho e l’eredità di “Il silenzio degli innocenti”

Non stupisce che un autore così politico e attento al racconto della stratificazione sociale come Bong Joon-Ho possa aver trovato un film-faro in Il silenzio degli innocenti, citato e rielaborato con tale insistenza da dare la sensazione di potervi ricondurre gran parte della sua opera come a una matrice originaria. Se quasi subito non sembrò casuale la scelta di inserirsi con Memories Of Murder (2003) proprio nel filone serial killer inaugurato dal film di Demme (per arrivare al limite del calco nella sequenza dell’autopsia, col rinvenimento di un corpo estraneo in un orifizio della ragazza assassinata) da allora il debito si è rinnovato film dopo film, informando molti dei principali tòpoi del cinema del sudcoreano.

“Parasite” e il paradosso del nucleo famigliare

Quello che il regista Bong Joon-ho porta in scena nel suo ultimo lungometraggio è un mondo impostato su una struttura verticale. O meglio, è il nostro mondo, quello che affolliamo quotidianamente, ma riproposto attraverso una realtà diegetica compartimentata, in cui gli spazi si fanno indicatori della condizione sociale degli individui che li abitano. In questo modo, l’eloquente esordio raffigurante i membri della famiglia al centro della storia costituisce immediatamente una calzante definizione dello stato in cui versano i personaggi. A Seul, in un’angusta dimora sotterranea, fratello e sorella impugnano i loro cellulari e tendono le mani verso l’alto cercando di agganciarsi alla connessione wi-fi di un appartamento superiore. I genitori li osservano mestamente, ormai rassegnati all’essenzialità che connatura la loro condizione ed all’impossibilità di abbandonare quella residenza suburbana.