Tratto dal romanzo omonimo di Domenico Starnone, Confidenza di Daniele Luchetti è avviluppato da un’atmosfera di sospensione, un’aura rarefatta, resa ancora più densa e senza tempo dalle musiche di Thom Yorke. Si tratta della dimensione dell’interiorità, del tempo interno imperversato dalle ossessioni di un personaggio tormentato, scisso tra io pubblico e io privato.

Un uomo anziano è in piedi sul davanzale della sua finestra con lo sguardo rivolto verso il vuoto, ancora una volta in fuga da se stesso, all’ennesimo atto di patetica autocommiserazione. Pietro Vella (Elio Germano) era insegnante di lettere in un liceo della periferia romana, ammirato da tutti per i suoi metodi educativi fuori dal comune. La relazione con Teresa Quadraro (Federica Rosellini), una sua ex studentessa diplomata da qualche anno, lascerà su entrambi, ma principalmente su Pietro, un segno profondo.

Infatti, nel tentativo ingenuo di cementare il rapporto, i due si riveleranno una confidenza, “un segreto così orribile che se si sapesse ti distruggerebbe per sempre”. Si lasceranno poco dopo, ma il protagonista vivrà nel terrore che Teresa possa rompere il silenzio. Infatti, la carriera di Pietro subirà una brusca impennata che lo porterà sotto riflettori sempre più importanti e pericolosi nel caso in cui emergesse il vero volto dello stimato professore.

Luchetti decide di rappresentare il monologo interiore che caratterizza il romanzo di Starnone attraverso inquadrature strette o angolazioni curiose, spesso dal basso, deformando gli ambienti e costringendo, specialmente il protagonista, in spazi progressivamente più angusti. Questa estetica, dalle tinte color seppia e dalle sfumature che tendono al grottesco, descrive la prigione psichica all’interno del quale si muove Pietro, perseguitato dall’ossessione di doversi nascondere, di dover frapporre un velo sempre più spesso tra sé e gli altri. È così che il bisogno di aria, di libertà dalle invincibili oppressioni provenienti dal Sé, diventa una fame vera e propria che si materializza nella sua tentazione di gettarsi da una finestra o dal parapetto di un terrazzo.

In tal senso Teresa rimanda a qualcosa di più che un personaggio, è quasi un’allucinazione, un super-io esigente e ricattatore che, anche senza fare nulla, anche andando a vivere in un altro Paese, come succederà poco dopo la separazione, rimane un chiodo fisso per Pietro, una minaccia costante e incombente. Il sorriso enigmatico di Rosellini, sempre a metà tra il divertito e il derisorio, tra l’amichevole e il sadico, sembra una proiezione interiore del protagonista, una manifestazione fisica che con la sua sola esistenza gli ricorda la sua reale natura.

Confidenza descrive limpidamente, attraverso l’introflessione psichica, una piccola borghesia ipocrita e mediocre, incapace di proiettarsi al di fuori del proprio egoismo individualista. In questo senso Luchetti è ancora più schietto rispetto all’autore del romanzo, rappresentando il protagonista come un uomo moralmente piccolo, rapito spesso da desideri di una violenza efferata. Immagine che sbilancia enormemente quella pubblica di grande educatore, autore di un saggio chiamato, quasi ironicamente, La pedagogia dell’affetto.

Ciò che risulta stupefacente nella ricostruzione psicologica del personaggio di Pietro, oltre alla magnifica interpretazione di Elio Germano, è l’attenzione alla veridicità e all’aspetto apparentemente contraddittorio del suo stato psichico. In più occasioni il protagonista sembra voler rivelare il suo segreto, come se il suo desiderio più profondo, dal quale fugge con disperazione, sia proprio quello di essere scoperto, di essere davvero se stesso e non la maschera che si è costruito.

Perché in realtà ad essere brutale e inaccettabile non è ciò che Pietro cerca di nascondere, quanto la condizione finzionale che si sforza di tenere in piedi. È il terrore per l’autenticità a rendere Pietro, e ciò che socialmente rappresenta, sempre più abietto e a costringerlo nella prigione di cartone che è la sua coscienza. 

Così con Confidenza Luchetti realizza un quadro accurato della meschinità umana, di quella condizione che contraddistingue il panorama piccolo borghese italiano, tanto dal punto di vista psicologico quanto da quello sociale. Allo stesso tempo costruisce un’opera inusuale per il cinema italiano contemporaneo, regalando al pubblico un film complesso, quasi sperimentale, soprattutto dal punto di vista estetico.