Non saremo mai stanchi di appassionarci alle storie riguardanti i tentativi di preservazione della libertà e la lotta alle ramificazioni delle forze ostili che cercano di corromperla e soggiogarla. Crisis propone una fra le più tristi di queste storie, partendo dal periodo in cui la Germania di Adolf Hitler arrivò all’attuazione dell’Anschluss, procedimento che prevedeva l’annessione dell’Austria al Reich tedesco. Evento in seguito al quale la vicina Cecoslovacchia si trovò incastrata nella morsa teutonica e iniziò ad inserire nella propria società una serie di misure precauzionali in vista di una possibile invasione.
Il Fuhrer fece trasparire l’intenzione di non voler ricorrere ad un assalto violento per la conquista di quel territorio, contraddicendo però quanto riportato nel dogmatico Mein Kampf, all’interno del quale veniva dichiarata la necessità di un’espansione della Grande Germania verso l’Est Europa. Il suo reale intento era infatti quello di inglobare lo stato confinante evitando però una brusca azione bellica, ma bensì attuando il già efficacemente collaudato sistema della seduzione del popolo attraverso il meccanismo della propaganda. Accadde così che mentre le forze democratiche venivano stimolate ad attuare i preventivi piani di resistenza, l’ombra nazista iniziò a stendersi sulla nazione, premendo con una particolare insistenza sulla regione dei Sudeti, caratterizzata da una densa concentrazione di cittadini tedeschi.
Questo è il periodo a cui è destinata maggiore copertura in questo documentario, che Herbert Kline, Hans Burger e Alexander Hammid realizzarono nel 1938 in collaborazione con il governo cecoslovacco. Una ricostruzione cronachistica in grado di percorrere le fasi attraverso cui il germe nazista venne innestato e meticolosamente alimentato nel paese. Un documento che si consegna oggi al nostro sguardo come una testimonianza sorprendentemente lucida rispetto ai piani delle forze contrapposte e specialmente in relazione al velo di ambiguità che connaturava la strategia della propaganda nazista.
Kline ed i suoi collaboratori restituirono un’immagine cristallina della metodologia adoperata dal Reich, il quale poggiava le basi della propria campagna sull’orgoglio identitario di una popolazione stanziata in terra straniera, ma ideologicamente ancorata all’humus natio in cui manteneva le proprie radici. Apologia di un popolo espanso e frammentato, che meritava di essere ri-assemblato sotto l’egida della grande nazione unita. L’acutezza dello sguardo applicato da Crisis risiede nel saper scavare oltre l’intento lampante e dichiarato, garantendo così l’emersione del fine smaccatamente economico celato dalla demagogica facciata del patriottismo.
Elementi riportati grazie al pertinente utilizzo del patrimonio cronachistico contemporaneo, tasselli sapientemente giustapposti e saldati da schematici intermezzi animati, inseriti allo scopo di fugare ogni dubbio circa il posizionamento politico dell’opera. Esplicitamente antiautoritario ed inneggiante alla gloria della libertà, il punto di vista utilizzato non accetta il compromesso dell’equa rappresentazione degli schieramenti, parteggiando apertamente per tutte le forze che si opposero all’invasione nazionalsocialista.
Un senso di sfregio e rammarico accompagna quindi il racconto del declino della resistenza, del crollo delle alleanze e del senso di isolamento che pervase la Cecoslovacchia nel periodo che precedette l’Accordo di Monaco. Atto ultimo della vicenda, segnò la sottomissione dello stato al controllo della Germania, ma non la distruzione del sentimento di chi si era battuto per la libertà, sottolineato dal documentario nel riportare le parole con cui il presidente Benes confermò il suo fervore democratico al momento delle proprie dimissioni.
L’ultimo, disilluso scorcio è dedicato però alle vittime su cui la furia della dittatura si riversò con impeto maggiore, coloro che non poterono trovare un posto nell’impero dell’odio e che all’oppressione preferirono la clandestinità, con il suo conseguente stato di miseria. L’invito ultimo di Crisis è perciò quello di guardare agli ultimi e vedere nella loro tragedia il prodotto più brutale ed autentico dell’autoritarismo, gli strascichi della smania distruttrice per il potere che abbaglia, distorce e devasta.