Nelle gesta dell’innamoratissimo Cyrano, amante colto e incompreso, si specchia in qualche modo il bistrattato Joe Wright, che dalla propria nicchia di artigianato sentimentale non è mai riuscito a emanciparsi. Quella del regista britannico è una tendenza romantica, più che una vera poetica, già esplicitata nel suo Orgoglio e pregiudizio, e reiterata nei film successivi – dal virtuosismo di Anna Karenina, tutta chiusa in un soffocante teatro, all’eroismo agiografico del Churchill di L’ora più buia. Dopo la breve parentesi della Donna alla finestra, con Cyrano Wright trova di nuovo il veicolo del suo sentimentalismo, in quella che è probabilmente la sua opera più orgogliosamente cavalleresca.

Lo evidenzia la sequenza più bella della pellicola: un incontro di fronte a un balcone, il locus sentimentale per eccellenza, dove il prima e il dopo della cultura amorosa convergono in un dialogo tra due anime. Ma in Cyrano la parola non basta: i versi sinceri del protagonista, un poeta-soldato reso insicuro dalla propria apparenza fisica, sono usati da un collega per conquistare il cuore della bellissima Rossana, di cui entrambi sono innamorati. Se la parola non può raccontare la passione impossibile di Cyrano, è quindi il canto a farsene carico: il sentimento inespresso si traduce sullo schermo in duetto commovente tra l’amata e l’innamorato a lei segreto, tra il reale e l’immaginato – una scena strabiliante che è l’anima del film.

Cyrano, d’altronde, era già nella pièce originale di Edmond Rostand un racconto sul potere manipolatorio della letteratura, dove la parola, poetica e romantica, era sì portatrice di verità, ma anche di inganno e illusione. Non sorprende quindi la facilità con cui l’argomento si adatta alla natura artificiosa del musical. Il teatralismo cantato di questa nuova versione, che traspone sullo schermo lo spettacolo omonimo di Erica Schmidt con le musiche dei The National, non è quindi un semplice esercizio decorativo. Dove in Karenina la tendenza teatraleggiante faceva da sfondo, in Cyrano rappresenta una dichiarazione d’intenti: è la forza della verità amorosa che emerge dall’artificio – come canta Cyrano, nella sequenza di apertura in teatro, davanti a un pubblico in cerca di onesto intrattenimento.

Nella visione di Wright, in realtà, di teatrale c’è ben poco, e dopo l’incipit sul palco la storia si spalanca su una prospettiva specificatamente, squisitamente cinematografica. Tra i costumi di Jacqueline Durran e le architetture di Noto, dove il film è stato girato, Cyrano trabocca di un barocchismo delicato, quasi mai stucchevole, e ingaggia lo spettatore in un universo arioso e concreto, una contingenza fra i muri della città siciliana e l’artificio coreografato di Broadway. Anche la scelta di Peter Dinklage – che interpretava il personaggio già a teatro – nel ruolo del protagonista è in linea con il senso filmico del regista: il suo Cyrano affetto da nanismo è una presenza completamente cinematografica, depurata del suo nasone romanzesco e trasmutata in una forma nuova, adatta e confacente allo spettacolo di cui è protagonista.

Certo è che, con il suo fare aggraziato, Wright rischia spesso di attenuare la fiamma del racconto. Allo script firmato da Schimdt sfugge soprattutto il senso di propulsione drammatica: è il motivo per cui, forse, dall’intreccio classicissimo e un poco antiquato Wright non riesce a trarre una vera tragedia sentimentale. Anche il Cyrano di Dinklage appare fin troppo addolcito, come se l’approccio del regista e dell’autrice ne avesse in qualche modo edulcorato il guizzo ironico: al suo paladino malinconico mancano l’orgoglio, la veemenza, la propensione coraggiosa per farne un eroe tragico.

Eppure, anche in questa veste ripulita, il Cyrano di Wright funziona perché il regista capisce a fondo il sentimento del racconto originale, e lo traspone con un senso dello spettacolo coerente con la propria visione. Quando alla sceneggiatura manca la parola, la musica sopperisce; quando anche l’orchestrazione si fa piatta, ecco che l’intrattenimento gentile di Wright la risolleva. Pur restando fedele all’operato del regista inglese, troppo poco introspettivo per essere definito “autoriale”, il suo ultimo film lo proclama come uno degli artigiani più onestamente romantici del settore: Cyrano canta la propria teatrale verità in forma di artificio cinematografico, leggero e garbatissimo, in uno spettacolo delizioso a cui sarebbe un peccato non prestare cuore e orecchie.