Gentlemen-rankers out on the spree,

Damned from here to Eternity,

God ha’ mercy on such as we,

Baa! Yah! Bah!

 

Ufficiali gentiluomini che fanno baldoria

Dannati da qui all’Eternità

Dio abbia pietà di quelli come noi

Baa! Sì! Bah!

 

Rudyard Kipling, Gentlemen-rankers

 

Tutti associamo Da qui all’eternità all’immagine di Deborah Kerr e Burt Lancaster avvinghiati sulla spiaggia e accarezzati dalle onde, in una delle scene d’amore più iconiche della storia del cinema. Ma nel famoso film di Fred Zinneman del 1953 la traccia amorosa è in realtà solo uno dei tanti aspetti della vicenda narrata, basata sulle storie di vita e di amicizia di alcuni soldati all’interno di una base militare alle Hawaii, poco prima che l’America prendesse parte al secondo conflitto mondiale (Pearl Harbor e le sue bombe si affacciano, attraverso filmati d'epoca, solo alla fine della pellicola).

Robert “Prew” Prewitt (Montgomery Clift) è un trombettiere ed ex pugile che, arruolatosi volontario nell’esercito, viene assegnato alla compagnia del sergente Milton Warden (Burt Lancaster), un uomo brusco ma onesto: qui conosce il soldato Angelo Maggio (Frank Sinatra) che diventa suo fedele amico. Deciso a non entrare nella squadra di boxe a causa di un incidente del passato sul ring, Prew viene sottoposto a pesanti corvées ma durante una libera uscita si innamora di Lorene (Donna Reed), una giovane prostituta di un club privato, mentre il sergente Warden si invaghisce di Karen (Deborah Kerr), moglie inquieta e non amata del loro capitano. A causa di un litigio con il vendicativo sergente Judson, Angelo viene recluso per sei mesi nel carcere militare e condannato ai lavori forzati: scappato dalla prigione ma sfinito dalle torture di Judson muore tra le braccia di Prew.

La vita nel microcosmo della caserma, con le sue regole ferree, i soprusi, le violenze fisiche e psicologiche, sono al centro del racconto di questi soldati volontari, scappati dall’America della grande depressione e approdati a un mondo militare che diventa la loro ragione di vita e di morte. Ma se il cuore pulsante del film è il dramma esistenziale - la disillusione di questi uomini, il loro senso di frustrazione e dannazione davanti a un futuro che non riescono a intravedere al di fuori della caserma - la struttura dentro la quale Zinneman fa muovere i suoi personaggi è quella del melodramma. Il regista riesce a fondere perfettamente i due registri narrativi anche grazie alle intense interpretazioni degli attori, a cui dedica, come suo solito, intensi primi piani (memorabili quelli a Montgomery Clift che di questo ruolo era particolarmente entusiasta e convinto e quelli a Deborah Kerr e Burt Lancaster che interpretarono scene d’amore reputate all’epoca molto audaci).

Zinneman chiese volutamente di poter girare in bianco e nero per rimarcare la drammaticità dei temi trattati, non lesinò sulla descrizione dei soldati quasi perennemente ubriachi, violenti e vendicativi ma contemporaneamente diede profondità e risalto al profilo psicologico e sentimentale dei suoi personaggi, comprese le due figure femminili presenti nel film, anch’esse strette nella morsa di un perenne conflitto fra amore e morte. Pensiamo alla scena in cui Prew, tra le lacrime, esegue Il silenzio con la tromba per ricordare la morte dell’amico Angelo e fa impietrire e ammutolire l’intera caserma o alla scena d’addio fra Karen e il sergente Warden, quando la donna alza una mano sul viso per ripararsi dal sole e il gesto diventa un beffardo saluto di congedo militare.

Il film, sebbene pervaso da uno spirito critico nei confronti di una parte dell’esercito militare americano, ebbe un grande successo, consacrato da ben otto Oscar (miglior film, miglior regista, migliori attore e attrice non protagonisti, miglior sceneggiatura non originale, miglior fotografia, miglior montaggio e sonoro) e da altri importanti riconoscimenti, tra cui due Golden Globe e, oltreoceano, il premio speciale a Fred Zinneman al Festival di Cannes.

Daniel Taradash, che firmò la sceneggiatura di Da qui all’eternità, sintetizzò e tradusse in linguaggio cinematografico le tantissime pagine dell’omonimo e multiforme romanzo di James Jones (autore anche di La sottile linea rossa), best seller e vero caso letterario dell’epoca. Il libro - il cui titolo è ispirato a un verso di una poesia di Rudyard Kipling dal titolo Gentlemen-Rankers - fu pubblicato nel 1951 da Scribner dopo una massiccia revisione dell’editore preoccupato di accuse di oscenità per il linguaggio estremamente crudo, le esplicite scene di violenza, alcoolismo, sesso, autoerotismo e per le vicende omosessuali.

La revisione divenne una specie di farsa in cui fu coinvolto lo stesso autore: delle oltre 1300 pagine originali molte furono tagliate e le rimanenti epurate: si passò da 259 a 145 fuck (fanculo), da 91 a 45 shit (merda), senza contare i meno numerosi prick (cazzo), cunt (figa), chow-down (pompino) e vari altri termini volgari che i soldati utilizzavano correntemente. Seppur censurato, e per alcuni versi snaturato, il romanzo ebbe un’accoglienza di pubblico straordinaria, ne fu fatta un’edizione tascabile e anche il successo cinematografico contribuì a incrementare le vendite.

Norman Mailer lo definì “uno dei migliori romanzi di guerra e per alcuni aspetti forse il migliore”. Solo nel 2011 la figlia di Jones ha recuperato il manoscritto originale del padre che negli Stati Uniti è stato poi pubblicato in e-book. Il libro, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1953, è stato ripubblicato nel 2012 da Neri Pozza nella sua versione originale che ad oggi conserva una freschezza e un’attualità sconcertanti.

Il best seller fu inizialmente considerato non filmabile fino a quando il capo della Columbia Pictures, Harry Cohn, non accettò la sceneggiatura “addolcita” di Daniel Taradash. Lo stesso Zinneman nel 1953, in pieno maccartismo, all’indomani della distribuzione europea, scrisse una lettera a Cohn in cui manifestava la sua preoccupazione per il sentimento antiamericano che il film avrebbe potuto suscitare e per l’eventuale strumentalizzazione da parte comunista.

La censura italiana dell'epoca oscurò una sequenza particolarmente significativa, quella girata nel vicolo dietro al night club, giudicandola troppo violenta, quella in cui "Prew", dopo la morte di Angelo Maggio, aspetta il sergente Judson fuori dal locale per vendicare la morte dell'amico. Tutta la sequenza della lotta, che culmina in una magnifica scena di ellissi narrativa (mentre i due si accoltellano a morte, nascosti da un primo piano di bidoni della spazzatura, noi spettatori vediamo solo lo scorcio urbano dietro al vicolo in cui la gente passeggia ignara della violenza che si sta consumando), nella versione italiana rimane priva di doppiaggio.

Il personaggio di Angelo Maggio (che valse a Frank Sinatra l’Oscar e il Golden Globe come miglior attore non protagonista e il rilancio di una carriera in quegli anni stagnante) tocca tra l’altro lo stereotipo del Wop (termine usato in America per designare gli immigrati europei, e in modo particolare gli italiani, dai comportamenti violenti, spavaldi e volgari) stravolgendolo completamente: anche se perseguitato ingiustamente Maggio accetta di finire in carcere per onorare il principio di fedeltà all’esercito, pagando la sua scelta con la vita.

Lo stesso Prew pagherà a caro prezzo la sua lealtà e il suo senso di appartenenza all’esercito, così come Warden rinuncerà all’amore per dedizione alla sua vocazione militare, mentre sia Karen che la prostituta Lorene si ritroveranno sole e sconfitte su una nave che le riporta in America. La scena finale del film in cui le due donne gettano in acqua due ghirlande di fiori hawaiane è il personale commiato e omaggio funebre di Zinneman ai “dannati da qui all’eternità” cantati da Jones e Kipling.