Manuel è il primo film di finzione di Dario Albertini, regista romano. Presentato alla 74° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione “Il Cinema nel Giardino”, il lungometraggio racconta la storia di un diciottenne appena uscito da una casa famiglia e di sua madre ancora chiusa in carcere. Il progetto trova le sue radici in un suo documentario precedente, La Repubblica dei Ragazzi (2015), in cui raccontava dell’omonima struttura di Civitavecchia nata nell’immediato dopoguerra per aiutare giovani privi di sostegno familiare. Quando stava svolgendo le riprese di Slot. Le intermittenti luci di Franco (2013), altro suo lavoro ambientato nella cittadina (questi due progetti insieme a Incontri al mercato compongono quella che Dario Albertini definisce “Trilogia del territorio”, anche perché sono stati tutti girati nel giro di due chilometri), continuava a vedere un ponte recante la scritta “La Repubblica dei ragazzi”. Un giorno decide di entrare nella struttura e incontra il gruppo degli ex, uomini ormai sessantenni impegnati a raccontarsi aneddoti di una gioventù passata là dentro. Affascinato dalle loro storie e desideroso di raccontarle, vi rimane per un anno e mezzo, periodo nel quale ha potuto osservare come i giovani affrontavano quest’esperienza. In questo documentario si concentrava soprattutto sull’entrata e sulla permanenza nella struttura, mentre la fase dell’uscita era rimasta fuori. Proprio su questo ultimo aspetto si concentra invece Manuel.

Manuel è un gigante buono, un ragazzo diventato adulto troppo in fretta, che si ritrova catapultato nel mondo fuori dalla Repubblica dei ragazzi a fare scelte più grandi di lui. Il personaggio è ispirato a un ragazzo vero incontrato da Albertini durante la sua permanenza, ma ha scelto di far interpretare la sua storia a un promettente attore romano, Andrea Lattanzi. Per immedesimarsi nel ruolo ha passato un periodo nella casa famiglia, vivendo in stretto contatto con gli altri ragazzi. “Non sapevo come potesse essere quest’esperienza, però dopo le prime difficoltà sono entrato in confidenza con gli altri e sono pian piano riuscito a immedesimarmi in Manuel”, ci dice Andrea. “Dario ha la capacità di tirare fuori dagli attori ciò che vuole anche senza sceneggiatura, che infatti abbiamo potuto leggere solo la sera prima dell’inizio delle riprese”, aggiunge Francesca Antonelli, che interpreta la madre di Manuel. Per quanto riguarda il suo approccio al difficile ruolo, ha provato a capire le sue motivazioni senza giudicarle. “Cerco sempre di voler bene a prescindere ai personaggi che non solo interpreto ma vivo”, ci spiega.

Dario Albertini usa un approccio particolare quando si vuole avvicinare a un nuovo soggetto: frequenta la realtà che desidera raccontare, ma aspetta un periodo minimo di cinque mesi prima di accendere la macchina da presa. Se dopo quel lasso di tempo desidera ancora raccontare la storia in questione, allora è quella giusta. Dopo aver ultimato La Repubblica dei ragazzi, sentiva la necessità di raccontare il periodo dell’uscita, una delle fasi più delicate del percorso. La libertà che aspetta questi ragazzi fuori dalla bolla di sicurezze e certezze in cui hanno vissuto finora è spesso idealizzata e capita che i ragazzi ne abbiano paura.

A Dario Albertini interessava soprattutto quel senso di confusione e di smarrimento che alberga nei loro cuori. Da qui viene la sua decisione di realizzare un film di finzione sulla storia di Manuel, anziché un documentario: “Volevo prendermi il tempo necessario per realizzare il progetto senza aver paura di perdere qualche frammento di quella realtà perché la macchina da presa era spenta”, ci spiega il regista. Un ruolo di grande importanza è stato svolto dal produttore, Angelo Barbagallo, che ha permesso di svolgere le riprese in ordine cronologico: “È stato fondamentale perché Manuel è un racconto di formazione e ciò ha permesso agli attori di crescere insieme ai loro personaggi, di immedesimarsi giorno per giorno”.