Approfittare di questi giorni per scrivere di Nico è utile sia per evidenziare la presenza nelle sale del film Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli (un biopic a metà strada tra Io non sono qui di Todd Haynes e Last Days di Gus Van Sant) che per riscoprire, o scoprire ex novo, alcuni passaggi della biografia di questo personaggio, fotomodella, attrice e musicista. Trine Dyrholm si cala nel personaggio restituendoci un febbrile ritratto che non pretende di essere la fedele e inarrivabile filologia di un’esistenza, ma, un’intensa interpretazione rievocativa, chiarificazione diretta a chi ritiene che la fisionomia dell’attrice, non un clone  di Nico, evidentemente stoni. Forse naso e zigomi posticci avrebbero migliorato le prestazioni di Trine, all’unisono già straordinarie?

Nico, nome d’arte di Christa Päffgen considerato da alcune fonti un omaggio al regista Nikos Papatakis, in ogni caso, fin dal principio sembra alludere al legame e alle collaborazioni che la vedranno protagonista del cinema underground. Conosciuta dal grande pubblico come apparizione felliniana ne La dolce vita, giovanissima modella che confida a Marcello di aver chiuso con i servizi fotografici; qualche anno dopo la ritroveremo diretta da Andy Warhol in The Chelsea Girls (1966), incarnazione del ruolo di musa/prodotto della Factory e voce dei Velvet Underground. Warhol la ritrae indagandone il volto, i movimenti delle palpebre, scrutandola insistentemente come a volerne carpire il segreto. Nico si specchia, si spunta la frangia, piange, un’intimità violata da un uso ossessivo dello zoom e illuminata da fasci di luci psichedeliche che ne incorniciano il profilo in fotogrammi d’impronta serigrafica.

La vita quotidiana dei personaggi/attori, interpreti di una propria individualità nonostante un copione più o meno definito, spontaneità della realtà e rievocazione del ready made duchampiano. Sia in The Velvet Underground and Nico – Symphony of Sound (1966) che nell’episodio Nico in the Kitchen di Chelsea Girls Nico viene affiancata dal figlio Ari, giocosa presenza e testimonianza vivente, suo malgrado, di una relazione turbolenta segnata dal rifiuto del padre, Alain Delon, che mai lo riconoscerà. In Nico, 1988 Susanna Nicchiarelli riesce a non cadere in facili pietismi, la riscoperta di un rapporto sofferto, quello di una madre con il proprio figlio, serve a mostrare la complessità di un personaggio che si fa carico di un passato soffocante (il ricordo della guerra, le droghe, la maternità) tralasciando l’approfondimento da rotocalco; del padre assente non si pronuncia mai il nome, sappiamo solo che è identico ad Ari.

Nico, assieme a Viva, altra icona della Factory, nel 1969 si trova a Roma dove incontra Philippe Garrel sul set di Le lit de la vierge. Mentre Viva recita in Necropolis (1970) di Franco Brocani, Nico inizia una prolifica collaborazione con Garrel che segue di pari passo la loro relazione: “The Falconer I wrote for Andy, and John Cale wrote a such unique piano solo for that song. One year later I did a terrible thing. I gave that song Philippe Garrel’s first film Le lit de la vierge with Pierre Clémenti, a beautiful ethic on the young Christ’s life”. (Philippe Garrel, a cura di Stefano Della Casa e Roberto Turigliatto, 1994)

The Falconer si amalgamerà perfettamente alla colonna sonora del film, composta da lunghi silenzi bruscamente interrotti dai pezzi rock di Les Jeunes Rebelles, gruppo del quale fa parte lo stesso Garrel, non al suo primo lavoro come sostiene Nico, ma, sicuramente il primo in cui si sente l’eco dell’influenza di lei. Sono sette le pellicole di Garrel a cui prende parte, ne La cicatrice intérieure (1972), spiega il regista, scrive i dialoghi da sola: “C’erano persino delle cose che non capivo quando lei si esprimeva in tedesco. Capivo quello che diceva in inglese ma con una marea di controsensi. La lasciavo fare. Sapevo che pensava il mondo esattamente come lo pensavo io”.

Nel film, girato in parte nella Death Valley, nei pressi del luogo in cui si svolge la scena finale di Rapacità (1924) di Erich von Stroheim, risuonano alcuni brani raccolti in Desertshore, il terzo album da solista di Nico, dal quale proviene The Falconer. Nico porta Garrel a New York per fargli conoscere Warhol, incontro formativo dopo il quale il regista francese afferma di aver modificato il suo modo di fare cinema.

Garrel, un po’ come Warhol, si sofferma a lungo sul viso di Nico, ne registra i cambiamenti in Les hautes solitudes (1974), film muto in cui lei recita assieme a Jean Seberg, il regista dice di aver ritrovato nella stessa pellicola The Chelsea Girls e À bout de souffle. Nico, oltre a La cicatrice intérieure, collabora alla realizzazione di Athanor (1972) e a Le Berceau de cristal (1976), per quest’ultimo, girato all’interno del Musée du Cinéma di Henri Langlois, Garrel sostiene di essersi ispirato alla messa in scena dell’entourage della Factory, filmando le persone più vicine a lui: “si vede Frédéric [Pardo] nel suo atelier che fa il mio ritratto mentre io sto alla macchina da presa. C’è anche Dominique Sanda che all’epoca viveva con lui”.

Questa trilogia è un’opera a quattro mani, firmata da entrambi come a suggellare un legame profondo: “Per me i miei film cominciano da La cicatrice intérieure; gli altri sono storia passata. Non c’è un solo film che abbia fatto senza Nico. È nei miei film più o meno da quando l’ho incontrata, ma non c’è un film che farei senza di lei”. (P. Garrel, 1978, Cahiers du cinéma)