Anche chi non ha mai letto il fumetto conosce bene il non-volto di Diabolik. Infatti è impossibile non aver mai incrociato quegli occhi così glaciali e penetranti nelle edicole. Marco e Antonio Manetti, ispirandosi a due episodi dei fumetti, decidono di iniziare il racconto da una sequenza di inseguimento in macchina. L’impassibilità del Diabolik interpretato da Luca Marinelli è già in contrapposizione con l’inquietudine dell’ispettore Ginko di Valerio Mastandrea. I due si rincorrono per le strade di Clearville, una città che viene costruita facendo sposare in maniera eccezionale i diversi stili architettonici di Bologna e Milano.

L’incontro fra Eva Kant e Diabolik è furtivo, sensuale e estremamente pericoloso. Non c’è uno spiccato sentimentalismo, Diabolik è maniacale e geniale, ma assolutamente sociopatico. Eva invece è umana, ha un passato che vuole tenere nascosto, ma è una donna incredibilmente stratega. Degna compagna e pari del suo amato, tanto che ad un certo punto, parlando tra sé, esclama: “altro che mogliettina”. E dopo essere riuscita ad aiutare Diabolik, incastrato dalla moglie Elizabeth (Serena Rossi), i due scappano insieme e diventano irrefrenabili.

Il personaggio di Marinelli matura, dopo l’incontro con Lady Kant ,un certo livello di umanità e da spietato assassino tende a portare in evidenza la morale che lo contraddistingue. L’Eva di Miriam Leone, da sinuosa, vanitosa ed egocentrica decide di diventare un’impietosa complice, potendo così riscattare la ferocia che fino a quel momento teneva repressa.

I fratelli Manetti dipingono una versione degli anni Sessanta che guarda ai grandi maestri del cinema, da Mario Bava a Dario Argento e soprattutto Alfred Hitchcock, ma diversamente da come lo avrebbe fatto un manierista come Luca Guadagnino. Ecco infatti che decidono di inquadrare gli attori e le atmosfere con uno sguardo fumettistico. C’è un momento che più di altri rende totalmente evidente questa scelta. Eva Kant è nel rifugio in montagna e per la prima volta sente parlare di Diabolik. Il racconto avviene in maniera corale da personaggi che hanno (quasi) solo questo scopo. Spazialmente sono posti a semicerchio e inquadrati leggermente dall’alto. Eva è invece leggermente lontana dal gruppo, è già un outsider e lo è sia nel linguaggio cinematografico sia nel linguaggio di una vignetta.

I Manetti hanno evidentemente chiesto agli attori di usare un registro recitativo un po’ forzato e quasi teatrale, proprio per richiamare l’idea di un fumetto che si rende in movimento con l’immagine cinematografica. Una scelta che può risultare inizialmente fastidiosa, ma estremamente efficace. Questo Diabolik non vuole essere un film tratto da un fumetto, ma sembra quasi voler continuare a essere un fumetto.

Per questo quando Diabolik lancia il caratteristico pugnale il suono è ben udibile, come lo “swiss” è leggibile all’interno delle pagine. E sempre per questo la “lentezza” della narrazione che in molti stanno criticando negativamente è per i Manetti una scelta nella resa dell’immagine di voler catturare quel momento e imprimerlo in fotogrammi come se fosse disegnato e stampato su carta: si pensi a quanto tempo impiega l’ispettore Ginko ad avere l’intuizione davanti alla ghigliottina.

Diabolik è il primo film della trilogia a cui stanno lavorando Antonio e Marco Manetti, ed è il secondo film tratto da un fumetto che, dietro una meticolosa (ri)costruzione degli anni Sessanta e una cura persino per l’uso realistico del codice Morse (come si legge nei titoli di coda), vuole staccarsi dal passato e guardare verso un futuro dell’industria cinematografica italiana.