Come topi in soffitta: così le vicende dei personaggi di Die Ratten (1921) si sviluppano e prendono forma nei bassifondi, là dove, nei dell’epoca, le persone perdono sempre più la loro dignità per diventare pian piano dei mostri. A farne le spese sono due personaggi chiave: la signora John (Lucie Höflich), donna sterile ossessionata dal desiderio di maternità, e il fratello Bruno (Emil Jannings), che passa da commettere piccoli reati a diventare un assassino. Causa scatenante di tutto è una donna, Pauline (Marija Leiko), che rimasta incinta ma non potendo provvedere al piccolo accetta inizialmente di cedere il figlio alla Signora John per poi cambiare idea dopo pochi giorni.

Qui avviene la trasformazione da uomini a bestie: la donna, vedendo arrivare la fine del suo sogno di essere madre, diventa sempre più ferina e ossessiva nei confronti del neonato; Bruno, per aiutare la sorella, compie infine l’estremo gesto. Ma questo porta solamente ad un ritardo verso l’inevitabile: con la morte di Pauline iniziano le indagini e presto queste portano alla luce la verità e più la verità si fa strada più la sanità mentale della Signora Smith peggiora ed emergono invece le sue ossessioni più recondite. Qui emerge Lucie Höflich che rafforza questa climax ascendente di emozioni portando la recitazione verso un’estremizzazione mimico-gestuale.

Se la descrizione delle vicende vi ha sorpreso non è affatto strano. Siamo nel 1921 e in una Germania cinematografica sempre più indirizzata verso l’espressionismo qui troviamo un film ancorato al passato ma che parrebbe essere un anello di congiunzione tra il naturalismo e la successiva nuova oggettività cinematografica. Le tinte sono fosche e l’intento è quello di catturare la realtà come realmente è, ovvero brutale e spietata, ma allo stesso tempo amplificando le storture con l’uso di un trucco molto marcato. Quest’ultimo, si concentra sul creare un contrasto molto marcato tra bianchi e neri nei volti di taluni personaggi.

A questo elemento va ad aggiungersi una sostanziale de-sessualizzazione delle figure femminili che sono spesso androgine e tendenti quasi alla deformità fisica. Straordinariamente per l’epoca, la deformità fisica non corrisponde però per forza a quella morale tanto che i due personaggi principali non hanno questa caratterizzazione. Non è forse un caso che la scena in cui forse più tutte emerge la deformazione della figura umana è quella in cui Bruno in soffitta si diverte a pungolare sadicamente un ratto in gabbia senza sapere che presto sarà lui a finire in gabbia vittima dei capricci del destino.