Restio alle tendenze di mercato, Ivano De Matteo prosegue e difende una propria idea di cinema, capace di guardare con distacco ma senza estraneità alle dinamiche relazionali nella società nazionale, mettendone in evidenza i limiti e i più meschini atteggiamenti che portano i protagonisti ad agire sempre, prima di tutto, per il proprio tornaconto (Ultimo stadio, La bella gente). Nucleo centrale delle sue narrazioni è la famiglia, alveo protettivo che spesso cela – dietro parvenze di normalità – difficili nodi interiori (Gli equilibristi, I nostri ragazzi, La vita possibile).

È questo il caso anche dell’ultimo Villetta con ospiti, dramma da camera che per costruzione e meccanismi crea un curioso parallelo col recente Parasite di Bong Joon-ho. Ma se Bong inscena la lotta di classe di una famiglia proletaria che cerca ogni sotterfugio per raggiungere, o almeno avvicinarsi, allo status borghese, De Matteo porta sullo schermo l’inverso, ovvero il tentativo di difendere la proprietà e gli interessi di una piccola comunità minacciata più che da un pericolo reale, da una coscienza attanagliante.

Trattando l’attuale critico tema della legittima difesa con l’incisività che lo contraddistingue, il cineasta romano – nonostante eccessive complicazioni caratteriali dei personaggi sul finale – non perde la sua vis polemica nei confronti di una classe medio-alta che fa mistero dei propri vizi e debolezze per sparlare del vicino, amico o collega che sia. La provincia di Villetta non si distanzia troppo, allora, da quella di Signore e signori di Pietro Germi (a cui il regista ha affermato di essersi ispirato per tratteggiare situazioni e ambienti), se non che quel ceto rappresentato nel 1965 come ignorante, arruffone e in definitiva perdente, oggi, arricchitosi alle spalle di altri, risulta impunito e tutto sommato vincente. Corrotto, e per questo facilmente ricattabile, è cinicamente disposto a tutto pur di difendere i propri interessi e segreti, arrivando a comprare il silenzio e la complicità di innocenti, per De Matteo ancora una volta gli immigrati, i più deboli e indifesi perché stranieri in una terra loro avversa.

Per il regista l’integrazione è una cosa seria. Come solo Carlo Mazzacurati prima (Vesna va veloce, La giusta distanza), De Matteo mette in evidenza i limiti etici di una mentalità ottusa e bigotta nonostante l’apparente magnanima disponibilità d’animo (come già ne La bella gente e in parte La vita possibile). Oltre i confini del proprio giardino c’è un mondo di bestie feroci, pronte ad assalire il più debole. Ma entro le mura domestiche, le cose non vanno meglio.