“Io non ho mai pensato di raccontare attraverso Ennio la storia del nostro cinema o di un intero periodo storico, ma avevo pensato di raccontare la storia di Ennio per dritto, in ordine cronologico, anche se oggi è più moderno fare avanti e indietro nel tempo. Invece io mi sono impiccato nella cronologia, che è una operazione più difficile, però man mano che il racconto della sua vita va avanti vedi che procedono di pari passo anche la storia e la storia del cinema. Io non pensavo di fare questo, ma nel mio film c’è anche questo”.

Nelle parole di Giuseppe Tornatore si condensa la natura tridimensionale del suo ultimo film, Ennio, il mastodontico documentario sulla vita, le opere e la musica del grande maestro Morricone, scomparso all’età di 92 anni la scorsa estate, capace di cavalcare nell’arco della sua esistenza, storia personale, sociale e cinematografica del suo Paese e non solo, proprio come fanno i grandi personaggi. Una vita per la musica, capace di intrecciarsi a doppio filo con la storia del cinema italiano ed internazionale, un'intera esistenza dedicata ad una vera e propria missione “sottotraccia”: dare dignità di opera d’arte alla musica per film.

Nato nel 1928 Morricone apparteneva ad una generazione di musicisti di formazione classica che si affacciarono agli anni ‘60 con la convinzione, ormai vetusta, che comporre musica per il cinema fosse un lavoro di serie B, e che un vero musicista non dovesse mettere il suo talento al servizio della settima arte. Morricone, quasi sommessamente, si buttò nel mondo del cinema e dell’audiovisivo (fu tra i più grandi arrangiatori della RCA), investendo tutto il suo genio per un ribaltamento di questa prospettiva che avrebbe dimostrato essere superata oltre che ingiusta. Allievo del grande musicista Goffredo Petrassi, Morricone rimase a lungo isolato nel suo ambiente “per aver rinunciato alla purezza della composizione”, per il suo maestro, come per i suoi colleghi “la musica per film non era musica”, ma per Ennio sì. Anzi ancora di più, quella di Ennio Morricone “è una musica che non trascorre semplicemente sulle cose ma le crea”.

Anche per questa ragione il film di Tornatore sceglie uno stile del racconto, a detta del regista, “inevitabile” immaginandolo da subito come “un film su un musicista e sulla sua musica” che “dovesse rispondere più alle leggi della musica che non a quelle del cinema”, dunque con una struttura condizionata dallo scorrere delle melodie. Un documentario dalla lunga lavorazione e impegnativa, iniziata ormai più di sette anni fa con l’intervista fiume di Tornatore a Morricone (durata quasi undici giorni) e caratterizzata dalla raccolta di una smisurata quantità di materiale, testimonianze, foto di archivio, scene di film, video inediti, tra cui il prezioso ritrovamento di uno spezzone Luce in cui Morricone ragazzino suona la tromba, interviste ad attori, registi, autori, maestranze del mondo del cinema, tra cui spiccano voci di persone che non ci sono più - Bernardo Bertolucci, Lina Wertmuller, Vittorio Taviani.

Un film di montaggio confezionato in pieno stile Tornatore, che usa come fil rouge per tessere la trama di una vita e di una carriera l’incondizionato amore per il cinema e per questo suo protagonista immenso. Il personaggio Morricone (visto da Tornatore) pare nascondersi tra le note di un pentagramma in cui riecheggiano le sue stesse melodie (motivi ormai celeberrimi assurti a sintomo del sentimento cinematografico), tra la suggestione di Nuovo Cinema Paradiso e l’ispirazione da “ladro di sogni” de L’uomo delle stelle, fino alla poesia intra-mediatica de La leggenda del pianista sull’oceano, che sancisce il legame indissolubile tra il musicista e la sua musica, e una completa immedesimazione del compositore con il protagonista di questo film, il pianista che non accetta di abbandonare la nave della sua musica.    

Molto bella la cifra stilistica scelta per il documentario che rende omaggio anche alle singolarità dell’uomo, usandole per restituire il carattere e la giocosità del genio. Il Maestro aveva infatti “l’istinto di canticchiare le cose che aveva in mente” per farti capire la melodia che stava immaginando per quello specifico film o per una scena. Tornatore ha l’intuizione di citare questa caratteristica come tratto distintivo dell’uomo Ennio, ma anche in funzione memoriale, così in tutte le interviste cerca di provocare negli intervistati questo istinto, e il risultato, empaticamente coinvolgente, è che nel film cantano tutti, dai fratelli Taviani a Pat Metheny, da Clint Eastwood a Edoardo Vianello, da Bernardo Bertolucci a Oliver Stone. “Ci sono momenti in cui il montatore e io ci dicevamo, ma è un film o una commedia musicale?”.

La grandezza del documentario va di pari passo con la grandezza dell’uomo e del compositore capace di usare le note come mattoni per costruire palazzi, ognuno diverso dall’altro. Morricone è quel musicista che ha saputo dare al cinema la sua voce, al western di Leone il suo fischio, a Indagine il suo timbro di scacciapensieri e nacchere, a Uccellacci e uccellini una personalità nuova e suggestiva coi titoli di testa e coda cantati da Modugno, contaminò i generi, esaltò i contrappunti, portò sprazzi di musica colta da camera negli intro delle canzonette di Morandi (In ginocchio da te), Mina (Se telefonando), Vianello (Abbronzatissima, Pinne fucile ed occhiali), usò la rumoristica in chiave jazz per dare personalità alle canzoni (lo “splash” di Abbronzatissima).

Morricone cavalcò i decenni più significativi della storia del cinema italiano, insinuandosi a poco a poco come grande compositore capace di dare ad ogni film il suo vestito musicale. Era il sarto della melodia, nonostante dichiarasse costantemente di avere un odio antico per la stessa, ma probabilmente mentiva e come dice nel film uno dei testimoni, “in questa schizofrenia di compositore nasceva il suo genio”. Così quando ascolti le sue musiche sei costretto a rinunciare ad un ascolto analitico ed abbandonarti semplicemente.

“Ennio - ricorda ancora Tornatore - ha composto 500 colonne sonore nella sua vita incredibile, ma non ha mai abbandonato la musica contemporanea classica, ha composto più di 100 opere che hanno avuto molte esecuzioni nel mondo, una fra tutte la composizione che fece per ricordare l’assalto alle Torri Gemelle. Era capace di fare veramente tutto e io ne sono testimone, lui non era mai preso in contropiede, perché era pronto a fare qualunque cosa. Aveva un metodo per la scrittura, molto speciale, la mia sensazione è sempre stata quella di un compositore che non scrivesse la musica, ma che la trascrivesse, sembrava trasferirla da un supporto all’altro, la componeva nella sua testa. Solo così si spiega la velocità e facilità  con cui all’ultimo minuto scriveva la musica, io mi son trovato con lui, in venticinque anni di lavoro assieme, a scrivere un pezzo all'ultimo minuto con la gente in sala e lui in trenta secondi scriveva una cosa che tu pensavi sarebbe stato di serie B e invece poi scoprire che era fuori dall’ordinario sempre. Noi siamo abituati a vedere il compositore seduto al pianoforte, ma per lui era dilettantistico, lui usava solo la carta e scriveva a penna perché sapeva che non avrebbe modificato nulla, non si sarebbe inceppato, non avrebbe avuto bisogno di correggersi e questo era formidabile”.

Un talento del genere ha lasciato una traccia indelebile nella storia del cinema, modificandone il corso e tracciandone, insieme alla colonna sonora, una nuova strada.