Siamo a Ebbing, un paesino del Missouri, profonda provincia americana: l’affissione di tre giganteschi manifesti rossi squarcia le coscienze assopite e scatena una guerra. I cartelloni recitano in sequenza “Violentata mentre moriva”, “Ancora nessun arresto?”, “Come mai, sceriffo Willoughby?”. Li ha affissi la madre della ragazza uccisa, annichilita dal dolore e consumata dalla rabbia di non sapere chi sia l’assassino della figlia.

La violenza, la colpa, la giustizia - e la loro rappresentazione tra commedia, tragedia e umorismo nero - sono tra i temi fondamentali che ritornano nella filmografia di Martin McDonagh, a partire dal corto Six Shooter, premio Oscar nel 2008, per poi passare ai due sicari in cerca di redenzione di In Bruges e alle avventure splatter dei 7 psicopatici, per approdare alla madre giustiziera nella notte di Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Ma a questi bisognerebbe aggiungere anche un altro film, che in Tre manifesti viene apertamente citato nel dialogo fra la madre e il prete che le fa visita a casa: si tratta di Calvario diretto nel 2014 dal fratello Jonh Michael McDonagh, i cui temi di fondo - la colpa del singolo che si riversa sulla collettività rendendola parimenti colpevole unita al potere salvifico del perdono - ritornano e fanno da perno morale allo svolgimento di questo nuovo film.

Mildred – un’indimenticabile Frances McDormand, che si aggira per il paese in tuta blu da lavoro con lo sguardo a fessura e l’andatura di un John Wayne pronto alla resa dei conti – è una madre che incolpa la Polizia di non aver trovato l’assassino della figlia e che per questo sferra una guerra senza esclusione di colpi all’intera comunità, incurante di lasciare sul suo sentiero morti e feriti.  È una donna piena di dolore e di rabbia, che non perdona nessuno: oltre a non perdonare la Polizia, non perdona il marito violento di averla lasciata, non perdona il figlio di essere sopravvissuto alla sorella, non perdona se stessa per non aver concesso la macchina alla figlia la sera in cui è morta. Ma i suoi strali sono diretti in primo luogo contro lo sboccato e apparentemente burbero sceriffo Willoughby - interpretato da un Woody Harrelson gigantesco, dolente e maestoso – che si rivela un marito e un padre pieno di amore e soprattutto un vero pastore di anime, capace con tre toccanti lettere di cambiare per sempre le vite dei rispettivi destinatari. Fra queste quella di Dixon - un Sam Rockwell che riesce a far vibrare contemporaneamente le corde dell’ottusità e della maturità del suo personaggio – agente di Polizia razzista e violento, immaturo e mammone, ma che arriva a rischiare la propria vita per chi credeva di odiare.

Ecco, uno dei talenti di Martin McDonagh, oltre a quello indiscusso di aver scritto una sceneggiatura praticamente perfetta (e figlia della sua origine di autore teatrale pluripremiato) sembra proprio risiedere nella capacità di far crescere i propri personaggi sullo schermo, in un percorso di mutamento intimo che ci sorprende e ci cattura.

E questo percorso viene effettuato attraverso una narrazione dallo stile sfaccettato, a volte estremamente diretto e politicamente scorretto, a volte epico e lirico, a tratti ironico e cinico. Registri narrativi che possono ricordare grandi autori come i fratelli Coen, Clint Eastwood o Quentin Tarantino, ma che in McDonagh (che si dichiara amante del cinema americano anni ’70 di Malick, Scorsese e Coppola) trovano una voce nuova, fresca, potente ed efficace.

Il regista ci fa notare come i tre grandi manifesti del titolo vengano affissi su una strada secondaria del paese percorsa - dice il pubblicitario che vende gli spazi - solo da chi si è perso o si è ubriacato e i cui supporti non vengono usati da anni. “Se non ci si può fidare di avvocati e pubblicitari – risponde Mildred - cosa rimane dell’America?”. Infatti la giusta causa e la narrazione funzionano, quei tre manifesti alla fine vengono visti da tutti. Parlano a tutto il paesino e anche a noi spettatori. E a chi è disposto a perdersi a Ebbing per almeno due ore, McDonagh racconta - con un sorriso che non fa sconti a nessuno - una storia di perdenti, un mondo umanamente povero ma anche insospettabilmente ricco, pieno di sofferenza ma illuminato da uno spiraglio di riscatto.