Con la sua andatura ancheggiante, il vento disorienta una mandria. L’inverno passeggia sui campi con una rapidità formale, incorporea. Il mastice che tiene uniti gli animali, un pastore. Non una sostanza benedetta che consenta alle creature di emanciparsi dal dolore. Bensì una guida, graniticamente consapevole della vita e del dolore. Determinata a educarle, affinché non si smarriscano facilmente, entrando subito in confidenza con qualunque estraneo gli si rivolga in tono amichevole. In muta contemplazione, instaurato fra loro un inquietante rapporto cameratesco, un boschetto di abeti dai rami gocciolanti oscilla, quasi esente sia da sofferenze fisiche che da pene sentimentali, venerando la solenne femminilità della neve.

Da un'altra parte, invece, all’interno di una scuola elementare, ci sono due tartarughe. Marciando lungo una salita immaginaria, per riprender una delle frasi dettate dal maestro Lopez ai suoi alunni pochi minuti più tardi, allungano la testina e camminano sul pavimento. Una, in particolare, sebbene sovrastata dalle sedie impilate sui banchi, dalle montagne di fogli e quaderni, con gli occhi sporgenti e penetranti, osserva un mappamondo. Con tutta la disinvoltura della saggezza senile in dote, la tartaruga intuisce che il pianeta sia rovesciato. Basterebbe rimetterlo al suo posto. Eppure, qualcosa è cambiato per sempre. Nello stesso istante, nonostante la leggerezza connaturata allo scuolabus che si inerpica lungo le stradine rurali, le tartarughe hanno percorso un ulteriore decimo di millimetro. Con buona pace di Achille.

Così inizia Essere e avere del francese Nicolas Philibert, uscito nel 2002 e, in questi giorni, riproposto nelle sale dopo la presentazione al Biografilm Festival. Racconto delicato e commovente dell’ultimo anno d’insegnamento di Georges Lopez, Essere e avere, ambientato nel piccolo comune di Saint-Étienne-sur-Usson, segue le vicende del maestro, in procinto di andare in pensione, e dei suoi tredici studenti. Apparentemente invisibile dietro la macchina da presa, Philibert, come un etologo à la Konrad Lorenz, fin dall’inizio, delinea una rassomiglianza tra il comportamento degli animali e degli esseri umani, familiarizzando con l’ambiente circostanze.

In parte simili alle oche selvatiche descritte dal Premio Nobel per la medicina 1973, alcuni di questi bambini, appena usciti dall’uovo, come si mostrano inavvicinabili per i genitori, così si attaccano al docente, seguendolo fiduciosamente. Inoltre, sebbene totalmente digiuni di esperienza, non hanno paura di lui e non fuggono, andando a rintanarsi nel primo angolino scuro trovato. Narrativamente, il processo d’apprendimento non può che risultar affascinante , formulato in modo schietto dall’insegnante. Vicino ora a chi, incerto sull’utilità dei numeri come Donald Duck nel cortometraggio Disney Paperino e il mondo della matemagica, fatichi con le tabelline, ora a chi non sappia maneggiare il compasso, o spaccare cautamente un uovo da friggere.

Dal dicembre 2000 al giugno 2001 ecco dispiegarsi i primi passi compiuti, le difficoltà e gli sforzi dietro gesti, una volta ripetuti con pazienza e quotidianamente, innocui. Con la sfavillante mancanza di timidezza dell’individuo genuinamente curioso, Philibert entra in questo minuscolo universo, animato dalle sue consuetudini senz’altro, purtuttavia non abbastanza sconosciuto da impedire al tempo di scorrere, alle clessidre di dichiarare la verità in posizione eretta. In tal senso, non ci è dato senz’altro conoscere la tabellina dell’undici, eppure rivediamo la nidiata di bovini mostrati all’inizio. Bisogna procedere, senza fretta ma senza sosta, in una scena affatto differente al finale di Eo di Jerzy Skolimowski. Ogni lezione è un’occasione per rimandare l’ineludibile necessità di dirsi addio.

Le gite e i giochi, la manifestazione di un’affettuosità da proteggere con cura, prima che subentrino avvedutezza e morale. Ogni rimprovero è un tentativo di dialogo, prima che sia impossibile aiutare chi non abbia colto il succo del discorso immediatamente. Allora, quanto si rivela importante incontrare un insegnante quale Georges Lopez! Specialmente in una cittadina talmente isolata da riportare alla memoria il fortunato dittico P’tit Quinquin – Coincoin et les z’inhumains di Bruno Dumont. Forse meno rivoluzionario e influente di Fred Rogers, pastore protestante diventato una celebrità televisiva, negli Stati Uniti, grazie al programma Mister Rogers’ Neighborhood, peraltro raccontato brillantemente in Won’t You Be My Neighbour (2018) dal documentarista Morgan Neville. Sicuramente, meno struggente del padre Jean interpretato da Pierre Morier-Genoud in Arrivederci ragazzi (1987) di Louis Malle.

Ma non meno importante, pur non mettendosi a urlare “qua qua” come il già citato Lorenz. In tutta la sua tenera umanità, mentre abbassa sommessamente lo sguardo nel rievocare le origini della propria famiglia. Capace di commuoversi e mantenere un’accorata compostezza semplicemente dicendo “Buone vacanze!” Quando si eliminano le distanze, anche un saluto sa di malinconia.