L’adolescente Alexis (“Alex, da questa estate”) racconta le sei settimane appena trascorse che hanno cambiato la sua vita. Le racconta al suo insegnante di letteratura, in uno scritto che è contemporaneamente confessione, romanzo e spiegazione del perché una notte due poliziotti lo abbiano arrestato. David è il titolo di questo scritto nonché il nome dell’amico con cui, in quelle sei settimane, Alexis ha vissuto una grande storia d’amore. Il fatto che il ragazzo intitoli così la sua opera è già un implicito riconoscere che David, in fondo, è un personaggio, un’entità che ad Alexis è servita per diventare adulto e trovare la propria identità. Anche Kate, l’amica inglese a causa della quale l’idillio aveva iniziato a sgretolarsi, glielo suggerisce: forse il David che Alexis ha vissuto non era quello vero; era reale solo perché lui lo aveva costruito così, perché noi “inventiamo le persone che amiamo”.
Estate '85 si codifica dunque come una riflessione sulla parola, sulla capacità del linguaggio di costruire un racconto e dei personaggi, siano essi aderenti o meno alla realtà. Se la parola detta non riesce a ricostruire l’intensità emotiva di un amore o la percezione fisica di una carezza né può esprimere il cambiamento che quella storia ha prodotto sull’anima giovane e innocente di Alexis o il vibrare del suo corpo nell’abbandonarsi al piacere, la parola scritta può farlo perché è meditata, scelta, correggibile.
Al suo diciannovesimo lungometraggio, François Ozon approfondisce il discorso sul rapporto tra realtà e finzione (Nella casa) e sull’importanza del racconto come chiave di comprensione della realtà (Frantz), ma si addentra con più ambizione nella matrioska della meta-letteratura, adattando il romanzo Danza sulla mia tomba di Aidan Chambers e costruendo il film come un dipanarsi di due piani temporali: il presente dello scritto e il passato dell’amour fou. Il regista francese esalta la scrittura come atto terapeutico, come strumento per raggiungere una catarsi emotiva che concluda il coming of age vissuto dal protagonista.
Paradossalmente, però, è proprio questa attenzione alla struttura letteraria della storia a ingabbiare a tratti il racconto, specialmente quando il film ammicca al giallo-poliziesco lasciando per un attimo che lo spettatore sospetti un ruolo attivo del ragazzo nella morte di David. Tanto è efficace la sottolineatura da parte della voce narrante di Alexis dell’“entrata in scena” dei personaggi (proprio come se stessimo assistendo allo svolgersi in diretta di una pièce teatrale) quanto appare superfluo il continuo rinvio della rivelazione del crimine compiuto dal protagonista. Queste piccole mancanze, tuttavia, scalfiscono solo superficialmente il corpo di un film che risulta un canto d’amore alla giovinezza e alla pienezza della vita: la fotografia è efficacissima nel rendere il calore dell’estate, la sua sensualità, i bruschi passaggi dal bel tempo alla tempesta che riflettono – come il montaggio, che ci porta continuamente avanti e indietro nel tempo – gli stati d’animo del protagonista e quel senso di precarietà dell’esistenza che adombra talvolta l’esuberante gioia di vivere adolescenziale.
Costumi e colonna sonora (ricca di hit degli anni Ottanta come Self Control di Raf o In Between Days dei Cure, rilasciata proprio nell’agosto del 1985) restituiscono perfettamente l’atmosfera eighties, calcando la mano sulla questione identitaria che viene connotata proprio attraverso un cambio di stile (David rifà il look ad Alexis, che poi brucerà i vestiti comprati con l’amico) e un particolare uso della musica. La bellissima scena della danza sulle note di Sailing di Rod Stewart chiude il cerchio emotivo di Alexis perché i due amici si erano conosciuti in mare, quando David aveva aiutato Alexis a tornare a riva dopo il rovesciamento della sua barca. Questa danza suggella l’amore riconoscendo l’importanza di un’esperienza straordinaria. Anche la scena della discoteca, dove David mette ad Alexis delle cuffie facendogli ascoltare una ballata romantica mentre tutti intorno si dimenano a ritmo di musica dance (chiaro omaggio al Tempo delle mele e ai teen movies dell’epoca), eleva la musica a componente distintiva della coppia, elemento altro rispetto al resto del mondo come un’isola felice nel mezzo dell’oceano.
Mescolando ricordi personali a una fiducia incrollabile nella capacità affabulatoria della settima arte, Ozon firma un’opera profonda, tanto teorica (spinta fino alla consapevolezza del protagonista di essere un personaggio della sua stessa storia) quanto emotiva, in grado di farci emozionare e di scaldarci al malinconico sole della memoria, ricordandoci che “la sola cosa che conta è riuscire in qualche modo a sfuggire alla propria storia”. Ovvero vivere.