Il documentario di Stefano Consiglio ci restituisce in pieno la profondità e la complessità di Giuseppe Bertolucci: figlio, fratello minore, poeta e regista.

Per l’epigrafe di Poetica dell’extrasistole Attilio Bertolucci scelse una frase di Paul Klee che diceva: “Segua ognuno il battito del suo cuore”, ed è di qui – da questa frase che Stefano Consiglio ripete due volte per introdurre il suo documentario – che Evviva Giuseppe prende vita. Parole che inevitabilmente diventeranno un punto di riferimento per lo spettatore e faranno da filtro a tutte le sue evoluzioni interpretative.

Una foto sul divano di casa ritrae la famiglia Bertolucci e l’infanzia di Giuseppe viene rievocata per immagini, come avviene nella poesia. Il susseguirsi dei ricordi è cadenzato dalla metrica dei versi di Attilio Bertolucci. E di chi altri se no. In questo capitolo primo di Evviva Giuseppe si percepisce l’inconsistenza di un sogno lontano: raccontando dell’annuncio della nascita di suo fratello, Bernardo si sofferma sui fiocchi di neve di quel pomeriggio di febbraio. In questo scenario le informazioni passano in secondo piano e gli spunti concettuali sono pochissimi, ma vitali. Come i battiti per un bradicardico.

Il ritmo sale d’intensità non appena si realizza l’incontro con l’arte, in qualsiasi forma essa si presenti. Entrambi i Bertolucci si cimenteranno con la poesia, smetteranno molto presto di essere fruitori passivi delle opere del padre e si metteranno alla ricerca di una propria soggettività, "di una propria prima persona". Le parole di Giuseppe sono molto chiare al riguardo e non lasciano scampo a deviazioni ermeneutiche di sorta: "spalancammo l’ombrello dell’assurdo e del nonsense, per ripararci dall’acquazzone del non senso sulle nostre vite".

Figlio del grande poeta e fratello minore del grande regista, Giuseppe ha imparato l’alfabeto dell’arte da loro e – senza copiare e senza odiare – ha sviluppato un modo originale di esprimersi combinando lettere e parole. L’amore per il cinema scoppia quando fa da aiuto regista a Bernardo in La strategia del ragno e smette di essere soltanto uno studioso e un militante. Di qui a Berlinguer, ti voglio bene e la scoperta e definitiva celebrazione della verve comica di Roberto Benigni il passo è breve. In un attimo siamo sul tetto di un palazzo, con Mario Cioni che dichiara il suo amore viscerale per Enrico Berlinguer e spiega che dovrebbe semplicemente andare in un salotto televisivo, salutare i presenti, salutare i compagni e gridare “via!” per dare il via alla rivoluzione. Qui siamo ben oltre la soglia della tachicardia.

Il cinema di Bertolucci ha la straordinaria capacità di leggere i cambiamenti della società e in qualche modo anticiparli. Negli ultimi vent’anni del Novecento comincia a registrarsi il rafforzamento della figura della donna nelle gerarchie sociali: Laura Morante, Stefania Sandrelli e Sonia Bergamasco saranno muse e paladine di queste istanze di emancipazione. Tre volti meravigliosamente espressivi che faranno del suo cinema una potente combinazione tra poesia e politica. Come tutta la sua produzione artistica del resto.

L’allontanamento dal set non coincide con l’allontanamento dal cinema, anzi forse nel periodo in cui è presidente della Cineteca di Bologna è legato alla settima arte da un abbraccio ancora più stretto. Rimette a posto i pezzi, cura l’edizione critica di Chaplin e presenta e racconta gli artisti. In cerca di un equilibrio tra le inclinazioni del genio e le pressioni del gusto che è la base per avere un elettrocardiogramma coerente. Ma non smette di scrivere e continua ad essere regista di teatro. Ragiona sul monologo, ne interroga l’essenza e arriva “Berlìnguer o Berlinguèrre?” da Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. E continua anche con la poesia, la più complicata delle poesie: s’inoltra nella rilettura delle poesie paterne a lui dedicate. Quella "prima persona" cercata con tanta difficoltà diventa "terza persona". E rieccolo faccia a faccia con quelle inquietudini e quelle aritmie dell’io che sono che sono necessarie per la sopravvivenza degli artisti.

Chiude il documentario un messaggio commosso e commovente di Benigni che ci mostra gli aspetti più evidenti e quelli più reconditi e intimi di Giuseppe Bertolucci in un unico splendido ritratto: "Giuseppe mi insegnò tutto. Lui disse azione e io mi mossi. Lui disse stop e io mi fermai. E mi batteva il cuore a mille che non c’è verso scordarselo".