Un noir in uno smagliante Technicolor parrebbe quasi una contraddizione in termini. Ma su Femmina folle (1945) di John M. Stahl, il direttore della fotografia Leon Shamroy ha compiuto un miracolo visivo, meritevole anche dell'Oscar: i personaggi risultano avviluppati in colori caldi, saturi e opprimenti, che li imprigionano in un'atmosfera malsana di passioni. La storia, narrata in flashback, inizia quando lo scrittore Richard Harland incontra la magnetica Ellen Berent (una sfolgorante Gene Tierney) e, rapito dal suo fascino, decide di sposarla dopo pochi giorni di conoscenza, incurante degli educati avvertimenti dei familiari di lei. Ellen si rivelerà gelosa, manipolatrice, e alfine omicida.
A dispetto del pedante titolo italiano, Femmina folle (in originale Leave Her to Heaven, come il bestseller di Ben Ames Williams dal quale è tratto) è uno studio sul femminile che non si dimentica. Le motivazioni delle femme fatale di celluloide venivano spesso liquidate in fretta riconducendole a una generica avidità o brama di vendetta, ma la personalità di Ellen è costruita attorno a istanze psicoanalitiche che, seppur a volte grossolane (il suo amor fou per Richard a causa della somiglianza con il padre), la trasfigurano in un conturbante spettro di comuni paranoie inconsce.
Le pulsioni di Ellen si fanno patologiche nell'intensità abnorme, ma restano nella natura di fondo umanissime e insieme ignominiose, nella loro antisocialità. Ed è per questo che il lieto fine, il più pacato e convenzionale si possa immaginare, non ha la forza né per ripristinare l'ordine costituito, né per portare una distensione completa nello spettatore, lasciando il fantasma di Ellen ad aleggiare come una nuvola nel cielo sopra le acque del lago.
Stahl è al solito molto sottile nel raccontare le interazioni umane, ma in questo vertice della sua filmografia (peraltro gratificato all'epoca da un abbondante successo) raggiunge anche l'apogeo della sua complessità: in superficie si pone davanti al pubblico come il paladino della morale corrente, invitandolo a rifuggire le passioni sconsiderate e a preferire le donne modeste e posate a quelle egoiste e accentratrici. Sotto la scorza del letterale, però, adotta un punto di vista ondivago e ambiguo: a tratti è con Ellen contro gli altri che la vogliono ingannare (e, con una stoccata, il finale ci confermerà delle sue buone ragioni) e a tratti è con le vittime della sua febbrile smania affettiva. Per lo spettatore, in lotta contro se stesso sui due lati della barricata, non può esistere vero sollievo.