L'allure che negli anni ‘90 circondava la Trilogia dei colori (Film Blu, Film Bianco, Film Rosso) del regista polacco Krzysztof Kieslowski a distanza di trent’anni potrebbe sembrare forse un po’ sbiadito eppure l’intera serie, recentemente restaurata in 4K, conserva inalterato almeno il fascino di un poema di intensa stranezza, di un trittico ambientato in un luogo anfibio a metà strada tra il mondo reale e l’immaginario, che rappresenta al contempo una riflessione antropologica sui sentimenti dell’essere umano e una insolita esperienza estetica per lo spettatore.
Formalmente ispirati ai tre colori della bandiera francese e conseguentemente legati agli ideali del motto rivoluzionario “libertà, uguaglianza e fraternità”, Kieslowski rivelò in seguito che i valori astrattamente associati ad ognuno dei tre lungometraggi erano in realtà presenti principalmente per scelta della produzione che era interamente francese.
Film Blu, il primo capitolo della venerata trilogia d’essai, di gran lunga il più grande successo internazionale di Kieslowski prima della sua precoce scomparsa nel 1996 a soli 54 anni, fece incetta di premi alla mostra del Cinema di Venezia del 1993: vinse il Leone d’oro per il miglior film (ex aequo con America oggi di Altman), il premio Osella per la migliore fotografia a Slawomir Idziak e la Coppa Volpi per la migliore attrice protagonista a Juliette Binoche, per la sua intensa interpretazione minimalista .
Con una ecologia dello sguardo che mostra con pudore, senza porsi domande, il mistero e la fragilità dell’essere umano travolto dal dramma e da un destino indecifrabile, Kieslowski in Film Blu narra la storia della rinascita interiore di Julie dopo la straziante perdita della sua famiglia a seguito di un incidente d’auto, evitando di scivolare nei cliché della tragedia.
Il viaggio interiore intenso e profondo della protagonista è il viaggio dell’eroina di ascendenza vogleriana verso la conquista, a tappe scandite, di una nuova consapevolezza di sé e della propria libertà: quella di sentirsi emotivamente libera dal mondo e di affrancarsi dal dolore, dal vuoto e dai ricordi lasciati dalla sua vita precedente, in cui era l’anonima moglie di un famoso compositore (incaricato di comporre l’inno della nascente Unione Europea) e la madre della piccola Anna.
Mentre Julie nuota nella ricorrente scena della piscina, il dolore della perdita e l’iniziale congelamento emotivo lasciano il posto alla volontà di rinascita della protagonista di riemergere da un vischioso limbo “blu”, riacquistando una libertà che si concretizza in molteplici azioni (donare la vecchia casa di campagna all’amante incinta del marito, trasferirsi in un attico in città, far visita alla vecchia madre, fare sesso col collaboratore del marito innamorato di lei, completare la partitura dell’inno all’Unione Europea di cui probabilmente era la vera autrice…) per ritrovare coraggiosamente un’esistenza autentica.
Nell’ambito di una straordinaria stilizzazione nel procedimento narrativo, la macchina da presa riprende sin dall’inizio i primi e primissimi piani di Julie per consentirci di empatizzare con la protagonista e seguirne le evoluzioni emotive, cogliendo sul suo volto l’iniziale nichilistico abbandono al vuoto esistenziale, le lacrime mentre i ricordi affiorano insieme alla musica sinfonica, gli accenni di un sorriso che ogni volta preannuncia il ritorno alla vita.
Con grande maestria Kieslowski in Film Blu riesce a realizzare la sinestesia perfetta, trasportando lo spettatore in un altrove che trascende l’udibile ed il visibile, dove musica e immagini si fondono all’unisono per restituirci un universo multisensoriale che ci fa riflettere sul significato di libertà, mostrandoci l’importanza delle connessioni emotive tra esseri umani che ci rendono davvero libere e liberi.