Il titolo originale è The Winning of Barbara Worth, ma potrebbe chiamarsi, con il sacrificio di un’unica sillaba, “la conquista di Barba”: è questo il nome della città che un gruppo di arditi pionieri strappa al deserto, complici l’indomito spirito avventuriero, tanto capitale e solida ingegneria. D’altronde la sovrapposizione tra donna amata e terra vergine da colonizzare – la sessualizzazione del corpo della Nazione – non è nuova all’epica americana: ed è proprio questa l’allegoria che informa di sé questo western magniloquente, diretto da Henry King per Samuel Goldwyn.

Barbara (che di cognome fa Worth, come “degna” della fatica che occorre per assicurarla a sé), è la wilderness, il fiore del deserto che né il denaro né le lusinghe della vita metropolitana possono addomesticare. L’odissea per conquistare il suo cuore va di pari passo con quella per domare una terra aspra e selvaggia, strappata ai nativi americani ma ancora dominata dalla furia degli elementi. Persino le tappe di quest’epopea amorosa coincidono fatidicamente: la hybris degli uomini dell’Est, che tentano di imbrigliare lo spirito libero del fiume Colorado, è la stessa che vale all’incauto ingegnere venuto da New York la prima delusione sentimentale; ugualmente, la fecondazione finale della donna coincide fatidicamente con quella del terreno, reso mansueto e pronto ad accogliere l’agricoltura.

Come per ogni mito fondativo – letteralmente: qui nasce una nuova città, e si mette nero su bianco l’epica genesi del lago Salton, tra California e Nevada – Hollywood sguinzaglia la forza produttiva di un kolossal in erba: King orchestra scene di massa, tempeste di sabbia, inseguimenti a perdifiato e accecati duelli al sole, confermandosi abile condottiero di troupe oceaniche e macchine produttive roboanti. Ma il fiore all’occhiello sono senza dubbio gli effetti speciali straordinariamente verosimili di Ned Mann, realizzati perlopiù con modellini in miniatura, che inscenano prima la deviazione del corso del fiume Colorado, e poi la sua distruttiva esondazione.

Leggendo alcune righe di Kevin Brownlow, non si fatica a immaginare come sia stato raggiunto un tale realismo: «la troupe patì difficoltà maggiori di quelle vissute dai pionieri di Imperial Valley. Le feroci escursioni termiche – si passava dai cinquanta gradi diurni al gelo notturno – erano accompagnate da trombe d’aria. Una di queste distrusse gran parte della città-set di Kingston, causando danni per 10.000 dollari». Come se avessimo bisogno di ulteriori conferme all’idea che i pionieri del cinema, quanto a slancio e ardimento, non fossero da meno dei pionieri del West.