Nove anni dopo Mad Max: Fury Road (2015), un intervallo di tempo anomalo per il blockbuster seriale contemporaneo, arriva nelle sale Furiosa: A Mad Max Saga (2024), prequel del film del 2015, diretto anche stavolta da George Miller. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, Furiosa inizia come il suo predecessore, con il resoconto della fine del mondo e il rapimento della protagonista da parte di colui che sarà il villain della storia. Ben presto, tuttavia, diventa chiaro che il film segue un’altra strada, autonoma, indipendente sia narrativamente sia stilisticamente da Fury Road.

Dopo Dune – Parte due, i paesaggi del blockbuster contemporaneo tornano ad essere le dune del deserto. Ma rispetto al deserto de-saturato di Villeneuve, qui ci troviamo immersi in un deserto la cui ferocia è comunicata già a partire dalla sua rappresentazione; Miller inquadra un deserto infuocato, senza speranza, che diventa teatro di inseguimenti, guerre sanguinarie, lotte infinite per la vita e la morte. In questo contesto si muove la Furiosa di Anya Taylor-Joy, che con la sola presenza scenica – le battute del personaggio sono ridotte al minimo indispensabile – regge sulle spalle il peso della pellicola.

È un personaggio che impara presto ad adattarsi a quel mondo disumano, a muoversi e ad agire come chi in quel mondo è nato e cresciuto. L’arco narrativo che Furiosa arriva a compiere motiva ancora di più le azioni del personaggio in Fury Road, non a caso richiamato nei titoli di coda di questo prequel. L’altra metà del lavoro spetta a Chris Hemsworth, in un ruolo quanto più diverso da quelli che l’hanno reso noto al grande pubblico, che interpreta un villain sadico, ambizioso, ma tutto sommato lucido e consapevole delle regole del mondo che si trova ad abitare.

Questi due personaggi sono il centro attorno a cui si muove la narrazione; ed è su questo versante che il film gioca con le attese degli spettatori. Chi aveva amato Fury Road per la sua capacità di tenere costantemente un ritmo frenetico e di basare l’intera narrazione su (quasi) un’unica scena d’azione della durata di due ore, si ritrova di fronte a un film che ribalta le aspettative. Furiosa inizia in modo frenetico e non mancano nel corso della sua durata sequenze che richiamano, anche in maniera molto esplicita, la struttura vincente di Fury Road.

Tuttavia, è un film che alterna all’azione momenti in cui il racconto procede con ritmo più cadenzato, in cui c’è più tempo per raccontare i personaggi, i rapporti tra di loro, con un approccio intimista che non sempre funziona del tutto. Ogni tanto questa alternanza di ritmo sembra penalizzare Furiosa, ne rende la narrazione più dispersiva e meno focalizzata. Ma è chiaro che si tratta di una precisa scelta autoriale che contribuisce a rendere questo film qualcosa di diverso dalla maggior parte dei blockbuster contemporanei.

Più di ogni altra cosa, però, colpisce il suo andamento anticlimatico: Furiosa è un film di vendetta, una vendetta costantemente bramata che però arriva (forse) solo nel finale, ma ancora una volta le aspettative sono disattese. Ad un finale spettacolare se ne predilige uno fondato sulla recitazione e ad un confronto d’azione se ne preferisce uno a parole, che danno al racconto una chiusura inattesa e circolare.

Gli ultimi minuti del film, che tendono verso una rappresentazione allo stesso tempo poetica e grottesca, fanno di Furiosa un film che impreziosisce la saga di Mad Max, che resiste alla tentazione di ricalcare la struttura vincente del suo predecessore o, ancora peggio, di esserne una mera appendice.