Con i premi Oscar 2023, svoltisi il 12 marzo al Dolby Theater di Los Angeles, ci si avvia alla conclusione della cosiddetta “stagione dei premi” dell’industria cinematografica mondiale. È Everything Everywhere All At Once ad ottenere 7 premi di cui 5 nelle categorie più importanti di Miglior Film, Miglior Regista, Miglior Attrice, Miglior Attore Non Protagonista e Miglior Attrice Non Protagonista. Un successo semi-annunciato quello dell’asso piglia tutto dei Daniels, minacciato forse fino a pochi attimi prima dell’inizio della cerimonia da altri candidati come Niente di nuovo sul fronte occidentale, The Fabelmans e Gli spiriti dell’isola.

Un film sostenuto fin dal principio da una massiccia campagna di marketing e promozione, soprattutto in termini di gadget e merchandising, che non ha di certo fatto fatica a trovare una propria strada distributiva, tanto da venire riproposto più volte da I Wonder Pictures nelle sale nostrane. Ciò è certamente dovuto al sostanziale impegno di A24 che, complici i “suoi” The Whale, Marcel the Shell, Aftersun, Close e Causeway (quest’ultimo frutto della partnership con Apple TV+ avviata nel 2018), è la casa di produzione con più vittorie (9), seguita da Netflix (5) e Disney (2).

Per gli attori è l’anno delle prime volte. Su un totale di 20 candidati, Cate Blanchett, Michelle WIlliams, Judd Hirsch e Angela Bassett sono gli unici ad essere già stati nominati in passato; come ha ricordato Jamie Lee Curtis, vincitrice a sorpresa su Angela Bassett, è interessante notare come effettivamente ognuno dei vincitori provenga dall’esperienza del film di genere e abbia seguito uno schema atipico o comunque inusuale nella propria carriera: la lunga assenza dalle scene di Ke Huy Quan e il dibattuto allontanamento dall’industria da parte di Brendan Fraser, l’aderenza stretta ai ruoli in film di arti marziali di Michelle Yeoh o la partecipazione a film cult e horror da parte di Jamie Lee Curtis.

Sorprende il riconoscimento sfumato per un soffio che avrebbe dato un significato totalizzante alla parola “regia”. Se da un lato The Fabelmans è stato visto come la massima celebrazione del proprio mestiere (la regia, scoperta da un futuro regista, diretta da un regista e dedicata alla propria regia), dall’altra parte è stata riconosciuta, soprattutto da parte dello stesso Spielberg, la coesione tra i due registi e la complessità del loro discorso filmico su più piani, su più linguaggi e, perché no, in più multiversi.

Rientrano nei riconoscimenti “tecnici” che spiccano maggiormente Avatar: La via dell’acqua per i Migliori Effetti Visivi e Top Gun: Maverick per il Miglior Sonoro, i due blockbuster che hanno ristabilito l’ordine naturale delle cose tentando di riportare il pubblico in sala (senza proprio scomodarsi di salvarlo del tutto, il cinema). Sulla scia di 1917, la Fotografia va a Niente di nuovo sul fronte occidentale, che ottiene subito dopo anche la Migliore Colonna Sonora. Musiche, quelle di Volker Bertelmann, influenzate dall’uso distorto di archi, harmonium ed elettronica, che sono state preferite a quelle intime e famigliari di John Williams (The Fabelmans), ai ritmi ossessivi di Justin Hurwitz (Babylon), agli echi sperimentali dei Son Lux (Everything Everywhere All At Once) e alle atmosfere torbide delineate dall’uso ossessivo della celesta di Carter Burwell (Gli spiriti dell’isola).

Se per A24 Everything Everywhere All At Once è motivo di vanto per l’ottenimento del maggior numero di premi cinematografici da un film, nonché per gli importanti incassi registrati nella sua poco più che decennale storia, è comunque chiaro che ci si trova di fronte a un definitivo riassetto delle preferenze sempre più lontane dai canoni classici dell’Oscar bait, iniziato nel 2017 con Moonlight. A causa di una sempre più innovativa qualità tecnica, di una certa commistione tra generi e una diversificazione del gusto, prevedere la vittoria di un film con certezza matematica sarà sempre più difficile.