Come sempre accade, i più grandi film della storia del cinema generano molteplici letture. Ecco un'antologia di analisi illustri dai grandi della critica e della ricerca internazionale.

Se si hanno occhi per vedere, orecchie per ascoltare e un cuore per sentire, Gli uccelli è un film magnifico. Di una bellezza ammaliante che, secondo il procedimento caro a Hitchcock da La finestra sul cortile e messo a punto con La donna che visse due volte, ci trascina lentamente, dolcemente, ma irresistibilmente, dalla dimensione del quotidiano verso i territori lontani del fantastico. È un film musicale. Inizia con un andante piacevole, grazioso, seducente, che con una minima modulazione diventa poco a poco grave, strano, angosciante. Poi improvvisamente esplode un allegro vivace, vorace, rapace, che a sua volta si appesantisce, assumendo risonanze terrificanti. Infine, si conclude con una corona tra le più minacciose che si possano immaginare. [...] Questo film – il più compiuto, il più meditato, il più profondo di Hitchcock, insieme a Psyco – è l’austera riflessione di un uomo che si interroga sui rapporti tra l’umanità e il mondo. Rapporti considerati da tutte le possibili angolazioni, tanto quella metafisica, occulta, filosofica, scientifica, psicanalitica (in questo film la psicanalisi è fondamentale) quanto semplicemente quella naturale. Riflessione pessimista, apocalittica. È la più grave accusa contro la nostra società materialista, alla quale non accorda che poche speranze prima della catastrofe.

(Jean Douchet)


Gli uccelli
 sono arrivati, e che gioia vedere un film autosufficiente, che non si nutre parassitariamente di riferimenti culturali esterni – che siano Cecov, Genet, O’Neill, Melville o chiunque vogliate. A partire dai talenti letterari pressoché impercettibili di Daphne Du Maurier e Evan Hunter, Hitchcock ha costruito un’opera somma di arte cinematografica, e “cinema” è qui la parola chiave, non dunque “letteratura” né “sociologia”. C’è per esempio una sequenza dove l’eroina è su un piccolo fuoribordo che solca le onde della baia, mentre l’auto del protagonista corre a gran velocità lungo la costiera, per intercettarla sull’altra riva. Questa corsa, di per sé puro cinema, è vista interamente dal punto di vista della ragazza. Vediamo solo ciò che lei può vedere dalla sua barca. Improvvisamente, quando è ormai quasi arrivata, la cinepresa coglie l’immagine di un gabbiano in picchiata verso di lei. Solo per un secondo il punto di vista si sposta, e ci è concesso di vedere l’uccello un attimo prima che lo veda la sua vittima. Il regista ha apparentemente infranto una regola estetica per produrre un fulmineo effetto di shock – il gabbiano che becca la ragazza. In realtà, questa momentanea incursione dell’oggettivo nel soggettivo è profondamente coerente con il senso del film. 
Il tema degli Uccelli, dopo tutto, è l’arroganza umana, come il regista ha affermato in innumerevoli occasioni. Come già in PsycoHitchcock è riuscito a coinvolgere gli spettatori al punto tale che l’apparente, molto criticato anti-climax con cui il film si chiude lascia un pubblico più assetato di sangue degli stessi uccelli.

(Andrew Sarris, The Village Voice)


Gli uccelli 
può essere considerato come il testamento dell’autore e il punto d’arrivo di tutte le sue ricerche formali. Il tema qui affrontato – presente, in maniera latente o esplicita, in quasi tutti i film di Hitchcock – è quello dell’angoscia. Angoscia psicologica davanti alla solitudine e all’abbandono. Angoscia morale di fronte all’inutilità e al vuoto dell’esistenza, che occorre riempire inventandosi un personaggio e una linea di condotta (è il caso di Melanie). Infine e soprattutto angoscia metafisica, relativa all’eventuale esistenza di un senso dell’universo e di un’istanza superiore che giudicherà le nostre azioni. Quest’ultima angoscia corona tutte le altre e si materializza, in modo iperspettacolare ed enigmatico, nell’invasione aggressiva degli uccelli. Lo sceneggiatore Evan Hunter (alias Ed McBain) si dichiarò insoddisfatto del trattamento riservato alla sua sceneggiatura da Hitchcock, il quale a sua volta criticò pubblicamente i “punti deboli” dello script. Doppia insoddisfazione difficile da capire, visto che l’intrigo raccoglie buona parte delle ossessioni hitchcockiane e la sua realizzazione ha goduto, sul piano tecnico, d’una maestria che rasenta il prodigioso […] L’accoglienza critica, all’uscita del film, fu piuttosto tiepida. Alcuni lamentarono l’assenza di una spiegazione razionale al comportamento degli uccelli. Ma come non vedere che questa frustrazione è parte integrante del film, ed esprime l’incapacità umana di accettare la crudeltà della natura, il caos universale e la propria incertezza davanti al senso nascosto delle cose? Apocalisse, giorno del giudizio, punizione biblica inflitta all’uomo da un Dio della collera e della vendetta, tutti i significati possibili devono restare aperti, e nella maniera più disturbante, perché le interrogazioni morali e metafisiche presenti in decine di film hitchockiani possano risorgere qui in un’ultima fiammata, con un’intensità più fisica e più impressionante che mai. Un film-testamento anche per il suo minuzioso realismo onirico, un realismo da incubo alla Delvaux, caratteristico dell’ultimo periodo dell’autore e, sia pur in minor misura, di tutta la sua opera.

(Jacques Lourcelles, Dictionnaire)


Nel suo film tecnicamente più complesso, Gli uccelli, Alfred Hitchcoclc affronta direttamente il tema dell’aspetto distruttivo e rapace della natura, da sempre implicito nella sua fascinazione per il crimine. Federico Fellini definì questo film un “poema apocalittico”. Io colloco Gli uccelli nella linea principale del Romanticismo inglese, discendente diretto degli scarni quadri naturalistici e delle sinistre femmes fatales di Coleridge.
(Camille Paglia, Gli uccelli di Alfred Hitchcock)


Cinquantesimo titolo di Hitchcock, lavoro sottile e complesso che fa seguito al più grande successo del regista, PsycoGli uccelli è un film molto diverso, e non solo perché questa fantasia apocalittica è la sua opera più astratta, come ha notato Dave Kehr, ma anche perché il passaggio dal bianco e nero al colore e al formato widescreen va di pari passo con l’astrazione. La stessa astrazione si estende a cosmici campi lunghi degni di un Kiarostami che sembrano posti più come questioni filosofiche che come risposte retoriche. E non appena ci accorgiamo che i capelli biondi e il tailleur verde dell’insolente eroina, Melanie Daniels (Tippi Hedren), sono coordinati alla coppia di pappagalli inseparabili che la giovane porta a Bodega Bay per proseguire l’elaborato duello di sarcasmo e seduzione avviato con l’indisponente estraneo Mitch Brenner (Rod Taylor), è già chiaro che Hitchcock ha in mente qualcosa di metafisico, oltre che fisico.
Ciò che mantiene il suo spaventoso spettacolo così imprevedibile è che la spiegazione del comportamento aggressivo degli uccelli non arriva mai. (Nelle interviste Hitchcock disse che Gli uccelli era un film sull’“autocompiacimento”, senza specificare se si riferisse ai personaggi, al pubblico, o a entrambi). Quello che invece arriva, in un possibile parallelismo con Psyco, è l’arbitraria premessa drammatica della violenza assassina. L’improvvisa fuga dalla città di un’eroina bionda diventa un’immersione nella natura selvaggia, un viaggio verso l’inspiegabile e irrazionale furia della giustizia divina, in qualche modo associata agli uccelli impagliati nell’ufficio di Norman Bates.
Quando ci viene detto che gli uccelli hanno colpito anche Santa Rosa, cogliamo un riferimento di Hitchcock a L’ombra del dubbio, suo precedente studio a doppio taglio su una famiglia disfunzionale in una cittadina della California. Richiamando le rime interne di quel film tra una nipote e uno zio entrambi chiamati Charlie (Teresa Wright e Joseph Cotten), Gli uccelli giustappone personaggi resi più forti (come Melanie) e/o più deboli (come la madre di Mitch, Jessica Tandy) da una crisi morale condivisa e circondati da vicini eccentrici dai diversi temperamenti.

(Jonathan Rosenbaum)

Gli uccelli 
è il prototipo di un nuovo genere – il film catastrofico (disaster film) – che porterà fiumi di dollari nelle casse della Universal negli anni Settanta. […] Divenuto egli stesso una star Hitchcock aveva ragione di pensare che avrebbe potuto fare a meno di attori importanti e di dare spiegazioni in merito agli attacchi degli uccelli. Dopo tutto un lungo trailer in cui si rivolgeva al pubblico per parlare delle relazioni tra gli essere umani e “gli amici alati” (versione satirica del delizioso, quanto altisonante trailer realizzato da DeMille per I dieci comandamenti) avrebbe dato l’idea che gli uccelli, nel film, si stessero vendicando di secoli di abusi. Ma la campagna promozionale aveva creato delle attese che furono disattese nei primi quaranta minuti del film. Quando gli uccelli fanno irruzione in un spasmodico crescendo di violenza, essi sono anche proiezioni del nostro desiderio nascosto. Ancora peggio, il nostro sadismo di spettatori (che sembra rivolto in particolare ai bambini) viene denunciato da una madre isterica che guarda dritto nella macchina da presa e, rivolta a Melanie, afferma “Credo che lei sia la causa di tutto ciò! Credo che lei sia il Male!”. […]
Gli attacchi successivi sono inframmezzati da scene all’interno di un caffè o nella casa di Brenner, dove si alza il sipario sul piccolo teatro di Hitchcock: periodi di tregua che ci consentono di nuovo di fare il pieno di impulsi violenti che ci hanno spinti ad acquistare il biglietto. Questa volta il climax non avviene in un bagno o in una cantina, ma in una soffitta, nella quale gli uccelli con il becco aperto volano dritto verso la macchina da presa, fino a quando Melanie è ridotta un bell’involucro svuotato dal trauma: non vede più, può soltanto essere vista. Dato che il film sarebbe finito a questo punto, Hitchcock eliminò un finale in cui la famiglia fugge sulla decappottabile di Melanie, inseguita da uno stormo di uccelli e riesce a salvarsi grazie a un miracolo invocato da Lydia mentre recita il Padrenostro. Decise invece di concludere con un miracolo ambiguo, l’inquadratura dell’auto che spezza in due lo stormo, come fosse il Mar Rosso, per svanire in lontananza e lasciarsi alle spalle uno schermo pieno di gracchianti aggressori: i nostri desideri inappagati.

(Bill Krohn)