Guardiani della galassia non è una saga come le altre nell’economia narrativa Marvel per due motivi consequenziali: già dal primo capitolo è parso evidente il peso della personalità registica al timone, James Gunn, e la felice interpretazione dell’autore si è poi imposta come standard per le produzioni successive dell’intero studio. Il registro comico da B-movie scelto da Gunn è la base di qualunque prodotto Marvel uscito dopo il primo Guardiani della galassia, con esiti spesso infelici, perché non tutti padroneggiano il linguaggio dei B-movies.

Considerato all’interno dell’universo Marvel, questo terzo capitolo della saga è certamente una delle opere più adulte e riuscite, dove finalmente i protagonisti sono i personaggi e non l’azione. La scrittura di Gunn non lesina sul sangue e sulla volgarità quando necessario, non si perde in inutili rimandi intertestuali a uno dei trenta film Marvel precedenti. Anche la comicità è quasi sempre ben dosata, con poche gag eccessivamente lunghe, e narrativamente zoppica solo nella goffaggine con cui riassume i film precedenti.

Considerandolo invece solo come terzo capitolo della saga Guardiani della galassia, non si discosta in nulla dai precedenti, tornando sul tema della famiglia alternativa, della solidarietà fra disadattati e la rivalsa dei reietti. Il focus è spostato su Rocket piuttosto che su Star-lord, ma ogni membro del numeroso gruppo viene valorizzato sufficientemente. La serie comunque non si sviluppa verticalmente, ponendo i nostri eroi in situazioni che ne esaltino sfaccettature diverse, quanto orizzontalmente, tornando sempre sugli stessi temi e riaffermando la stessa morale.

I fan della saga e della Marvel in generale avranno motivo di apprezzare Guardiani della galassia vol. 3, un grande more of the same realizzato con gusto, conclusione dell’unica serie MCU con una coerenza stilistica interna. Considerando infine Guardiani della galassia vol. 3 come opera autonoma, ci si trova dinnanzi a un ottimo film d’intrattenimento con una buona profondità drammatica e che non fa soffrire affatto le sue due ore e mezza di lunghezza. Di sbavature ce ne sono, specie nella scrittura dei personaggi secondari – Adam Warlock è il più inconcepibile, probabilmente verrà valorizzato in futuro – e anche alcuni interessanti momenti tragici vengono stemperati troppo velocemente da inserti comici o dalla colonna sonora, ma nel complesso niente preclude la godibilità dell’opera.

La peggiore pecca è il villain, lo stereotipo di un qualsiasi scienziato megalomane di un film di Margheriti di settent’anni fa. Il povero Chukwudi Iwuji fa del suo meglio per interpretare al meglio questo Thanos del discount, ma la sua performance non riscatta la vacuità del personaggio. Un grande pregio è invece il design delle ambientazioni, curatissime e quasi mai generiche, e delle numerose creature animalesche-robotiche-antropomorfe dal concept mai ripetitivo. La Marvel dovrebbe studiare attentamente la saga dei Guardiani della galassia se vuole continuare a prenderla ad esempio, e ripassare l’interessante percorso artistico di Gunn.

Magari in questo modo, dopo un paio di visioni di The Toxic Avenger, ci sarà speranza che i prossimi Thor o Ant-Man non saranno una fiera esibizione di mediocrità.