Hollywood Party è puro ritmo, divisibile in più tempi, che si avvia verso un crescendo vorticoso e frenetico per poi chiudersi quietamente. Una scansione temporale, metricamente perfetta, proveniente da una narrazione che procede per gag al cui centro c’è sempre Peter Sellers nei panni dell’indiano Hrundi, rispettoso e impacciato, che non riesce a trovare il suo posto nell’ambiente che lo circonda. Un personaggio che tenta di mescolarsi agli altri, ma che, non riuscendoci perché puro come un bambino, porta all’inevitabile collasso quel mondo: composto da gente fasulla ed irrispettosa, interessata solo al denaro, che Hrundi, per un disguido o per l’altro, smaschera continuamente. Si pensi ai parrucchini degli ospiti maschili alla festa ed alle parrucche indossate dalle donne: tutti mascheramenti che vengono svelati più volte (dal personaggio più “mascherato”).

Blake Edwards secondo Franco La Polla ha realizzato questo film puntando soprattutto “sui gesti e sui rapporti fisici che il protagonista intrattiene distruttivamente con gli altri personaggi” e crea “una realtà nella quale nessuno si fa male” dando quindi vita ad un mondo comico, intriso visibilmente di sfumature drammatiche, e ad una narrazione che stravolge i ruoli dei personaggi indicati come “vincenti” in “perdenti” e di cui l’unico eroe Hrundi V. Bakshi è quello che, nella prima sequenza, sul set cinematografico, è addirittura incapace di interpretare il ruolo di semplice comparsa. Quando arriva alla festa, su una macchina a tre ruote, ha l’effetto di una bomba carica pronta ad esplodere. Non è neanche vestito in modo adeguato infatti, più che confondersi tra gli invitati, i colori degli abiti che indossa richiamano le tonalità delle pareti e degli arredi.

L’attenzione del protagonista cade regolarmente su quella casa - dagli spazi larghi e caratterizzata da una modernità, sopratutto tecnologica, che ricorda quella in Mio zio di Jacques Tati - con cui si trova ad interagire, pur non comprendendone il funzionamento, per tutta la durata del film: fino alla sua rovina. Hrundi accidentalmente la sgretola, gag dopo gag, ma è dall’annuncio dell’arrivo dei russi (i ballerini) che la situazione si avvia verso la sua implosione più estrema.

I quadri si fanno via via più frenetici e se nella prima parte del film la distanza tra Hrundi e gli altri ospiti è sempre rimarcata anche dalla macchina da presa e dal suo modo di muoversi negli spazi, trasformati in un labirinto di muri e colori, quando, nella seconda parte, il contatto visivo tra Hrundi e Michèl si intensifica, il primo diventa il soggetto assoluto dello sguardo, ora ossessivo, di quel pubblico che prima lo ignorava, nonostante le continue gaffe. Da personaggio passivo, dopo la scena della canzone, muta e diventa attivo: la casa, a quel punto, è completamente nelle sue mani, infatti gli altri personaggi non riusciranno più a comunicare con gli ambienti che prenderanno vita fino a rivoltarsi contro i legittimi proprietari spodestati.

Hrundi diventa quindi un soggetto veramente al centro del quadro e così mette in moto il dispositivo che porta alla totale distruzione delle dinamiche sociali tra i personaggi, avvalendosi anche di quelle figure che, fino a quel momento, sembravano prive di significati profondi e quindi relegate ai margini. Il cameriere ubriacone Levinson - ignorato da tutti e che tanto ricorda il menestrello con la bottiglia del cartone Disney La bella addormentata nel bosco - non nasconde più il suo amore per qualunque tipo di alcolico e trova nella donna bionda, che può ricordare una caricatura di Marilyn Monroe, la sua compagna di bevute.

Michèle Monet (Claudine Longet), aspirante attrice e cantante, una volta liberatasi dalle grinfie dell’orrido accompagnatore, diventa la spalla ideale nel portare a compimento la parabola distruttiva della festa.

Così dopo qualche ballo sfrenato insieme ai russi ed ai primi “tuffi” in piscina, che ricordano quelli del film La notte di Michelangelo Antonioni, ed all’arrivo della figlia del produttore cinematografico, il proprietario di casa, e dei suoi amici figli dei fiori accompagnati da un elefantino, ogni azione per limitare la distruzione diventa impossibile. Il produttore non viene più ascoltato da nessuno, solo un cameriere obbedisce agli ordini, la moglie ha la situazione fuori controllo, come i suoi capelli, e nonostante il fatto che “la nave stia affondando” sotto un mare di schiuma il complesso musicale continua a suonare e gli ospiti hanno perso tutti i loro freni inibitori. Finalmente Hrundi è riuscito nel suo scopo inconscio: ha preso una rivincita su quel mondo e da zimbello della festa ne è diventato l’eroe.