Da Patrice Lumumba al giovane Marx passando per James Baldwin, l’universo cinematografico del regista e attivista haitiano Raul Peck è segnato dal progetto politico e culturale della de-colonizzazione. Peck concepisce questo processo come rilevante anche all’interno delle nazioni colonizzatrici per rivelare i meccanismi attraverso cui l’egemonia delle classi dominanti manipola i soggetti subalterni in narrazioni di uguaglianza che nascondo le effettive gerarchie di razza, genere e classe. Narrato dalle parole di James Baldwin tratte dal suo manoscritto inedito e incompiuto “Remember This House” e da altri saggi dello scrittore afroamericano, I Am Not Your Negro (2016) è un documentario elaborato con tale accuratezza storica e visiva da costituire un archivio alternativo sulla storia delle relazioni razziali negli Stati Uniti che decostruisce fantasie bianche sulla razza.

Al centro di I Am Not Your Negro ci sono tre icone del movimento per i diritti civili: Malcom X, Martin Luther King e Medgar Evers, tre attivisti con storie diverse, uniti dalla militanza per la fine della segregazione e la parità dei diritti tra le razze e dalla morte violenta che ha segnato le loro vite. Ma c’è anche, certamente, in primo piano fin dalla locandina, James Baldwin, intellettuale nero scomodo che aveva conosciuto e frequentato i tre attivisti e che, alla fine degli anni 70, ne voleva scrivere in “Remember This House”. Attraverso le parole di Baldwin, I Am Not Your Negro intreccia la lotta politica per i diritti civili dei tre leader con una lettura militante della cultura americana e occidentale e degli stereotipi che produce per legittimare la segregazione. Baldwin non era una scelta ovvia come narratore: la sua omosessualità dichiarata era fonte di imbarazzo per alcuni militanti del movimento per i diritti civili che, con omofoba originalità, lo avevano rinominato Martin Luther Queen. In questo, tristemente, chi lottava per i diritti civili si trovava sulle stesse posizioni dell’FBI che, in piena retorica da Guerra Fredda, descriveva Baldwin come un possibile pericolo per il popolo americano in un ipotetico stato di emergenza per il suo interesse verso le relazioni razziali e per la sua evidente omosessualità. Quella di mettere un omosessuale al centro di un film sui diritti civili e sulla lotta alla segregazione razziale è sicuramente una scelta coraggiosa: un soggetto marginale riconquista il centro, un subalterno può finalmente parlare.

King, Malcolm X ed Evers rivivono, infatti, più nelle loro convergenze ideologiche che nelle loro differenze, grazie alla prosa di Baldwin che commenta, letta nella versione originale dalla voce di Samuel L. Jackson, le immagini e i filmati di repertorio ma anche quelli tratti dal nostro presente. Non a caso, nelle prime sequenze, quando Baldwin spiega il progetto di “Remember This House” come una testimonianza necessaria ed urgente, un viaggio che egli intende intraprendere nel passato americano per illustrarne il presente, I Am Not Your Negro ci invita a problematizzare nozioni statiche di “storia”, “passato” e “presente”.

Il presente di cui parla Baldwin è il suo presente della fine degli anni 70, quando inizialmente concepì il libro, ma il documentario innesta sulle sue parole immagini dei giorni nostri mostrando i grattacieli di Manhattan come centri di un potere economico globale o le violenze del potere politico e giudiziario contro cui ha reagito il movimento #BlackLivesMatter. In questa dialettica tra presente e passato, le immagini dell’Inaugurazione di Obama scorrono sulla dichiarazione di Bob Kennedy sulla concreta possibilità che, in una quarantina d’anni, gli Stati Uniti avrebbero potuto avere un Presidente afroamericano. Amaramente Baldwin commenta che questa profezia altro non è che una conferma del potere e dell’egemonia politica e culturale dei bianchi che permetteranno ai neri, se si comportano bene, di avere anche un Presidente.