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“I Am Not Your Negro”: James Baldwin, testimone del nostro presente

Da Patrice Lumumba al giovane Marx passando per James Baldwin, l’universo cinematografico del regista e attivista haitiano Raul Peck è segnato dal progetto politico e culturale della de-colonizzazione. Peck concepisce questo processo come rilevante anche all’interno delle nazioni colonizzatrici per rivelare i meccanismi attraverso cui l’egemonia delle classi dominanti manipola i soggetti subalterni in narrazioni di uguaglianza che nascondo le effettive gerarchie di razza, genere e classe. Narrato dalle parole di James Baldwin tratte dal suo manoscritto inedito e incompiuto “Remember This House” e da altri saggi dello scrittore afroamericano, I Am Not Your Negro (2016) è un documentario elaborato con tale accuratezza storica e visiva da costituire un archivio alternativo sulla storia delle relazioni razziali negli Stati Uniti che decostruisce fantasie bianche sulla razza.

Per un’estetica nera omosessuale del rinascimento di Harlem: “Looking for Langston”

Looking for Langston (in italiano “Cercando Langston”, 1989) è stato inizialmente concepito dal regista britannico indipendente Isaac Julien come un film di circa 50 minuti che alterna filmati di archivio degli anni 20 con scene girate in bianco e nero per ricostruire l’atmosfera del Rinascimento di Harlem, un’epoca in cui, come dichiara il poeta afroamericano Langston Hughes, “i neri erano di moda”. Sono gli anni in cui si afferma il jazz e mecenati bianchi finanziano opere letterarie ed artistiche di autori afroamericani: emergono l’orgoglio e la voglia di emancipazione dei neri americani. Sono anche gli anni in cui inizia a svilupparsi una precisa cultura nera omosessuale, osteggiata dai leader afroamericani del tempo.

Il linguaggio dei nostri sogni. James Baldwin e il cinema

L’uscita nelle sale di Se la strada potesse parlare è l’opportunità per apprezzare il contributo intellettuale di James Baldwin, dal cui omonimo romanzo il film è tratto, non solo come fonte di ispirazione per narrazioni cinematografiche ma anche come critico e teorico di cinema. In The Devil Finds Work (1976), di cui Fandango Playground ha recentemente pubblicato in italiano il primo saggio Congo Square, James Baldwin intreccia la narrazione autobiografica del suo incontro con il cinema con un’analisi critica militante e ancora attuale che evidenzia i pregiudizi razziali e di genere della cultura cinematografica dominante americana. Nei tre contributi raccolti nel volume, lo scrittore afroamericano spazia da Nascita di una nazione (1915), un testo razzista fondamentale per la storia del cinema e l’identità nazionale americana, a L’esorcista (1973), il cui ritratto del male Baldwin trova, nella sua banalità, la componente più terrificante e inquietante del film.

Politica ed estetica della strada: “Se la strada potesse parlare”

Le modifiche di Jenkins al romanzo di Baldwin sono limitate ma significative e rientrano nel progetto del regista, già chiaro nel precedente pluripremiato Moonlight (2016): costruire narrazioni affermative della comunità afroamericana con un’agenda politica di classe, razza e genere progressista, senza trascurare però un’ideologia visiva che trasfiguri anche i dettagli più sgradevoli in una dimensione estetica. Da qui, per esempio, la scelta di alternare la narrazione filmica con l’inserimento di sequenze di fotografie in bianco e nero. Fin dalla locandina, in cui il paesaggio urbano costituisce una parte dei volti innamorati di Fonny e Tish, il film, a differenza del romanzo, rappresenta Harlem non come un contesto ostile ma idealizzato, colto con ambienti, luci e posture che ricordano le stilizzazioni impressionistiche di Wong Kar-wai in In the mood for love (2000) e della tradizione melodrammatica americana da Douglas Sirk a Todd Haynes.