“Perché gli spettri ti possiedano -

non c’è bisogno di essere una stanza -

Non c’è bisogno di essere una casa -

La mente ha corridoi – che vanno oltre

lo spazio materiale...”

Con questi versi si apre una poesia di Emily Dickinson che sembra idealmente dialogare con le inquietudini domestiche presenti nella bella opera di Petitto. La casa, il luogo caro, che più di tutti accoglie, difende e protegge può diventare anche il posto che nasconde, chiude, divide, isola dal resto del mondo: luoghi fisici evidentemente anche metafora di luoghi psichici.

Un film di fantasmi e ossessioni, di angosce che si materializzano sotto forma di visioni, incubi così vividi da lasciare negli occhi dello spettatore, come in quelli della protagonista, l’inquietante sospetto se quanto visto fino a quel momento, sia veramente accaduto. Un film da camera, che vive attaccato al volto della protagonista, Nicole, madre angosciata e instabile, tradita dal marito, colta nella quotidiana fatica di crescere la figlia (la Lucy del titolo) e di difenderla da un pericolo tanto  pressante, quanto inafferrabile.

Antonia Liskova è bravissima nel dare corpo ai tremori psichici di Nicole, una madre che cerca di essere premurosa e tenera verso la figlia ma troppo spesso si comporta con grande durezza, quasi fino ad una crudele insensibilità, impaurita da se stessa e da suoi mostri, mentre cerca di venire a capo di una verità a cui non riesce a  dare un nome.

Ancora la Dickinson nella stessa poesia: 

“[…] L’io che si nasconde dietro l’io –

Una scossa ben più terrorizzante –

di un assassino in agguato

nella propria casa. [...]”

Fantasmi della mente (ourself behind ourself, scrive la Dickinson), brandelli di vita, di infelicità, che si mettono in scena davanti allo sguardo disarmato di Nicole, incapace di reagire e di discernere tra incubi e realtà, complici anche le sue frequenti fughe alcoliche che mescolano le percezioni e ottenebrano la mente.

Attraverso uno studiatissimo uso della profondità di campo, Petitto isola la protagonista dall’ambiente domestico in cui vive, fino a trasformarlo in una quinta teatrale, sfocata e accerchiante, nella quale far muovere Nicole, inquadrata quasi sempre in primo o primissimo piano. Tutta la realtà della sua vita ci è restituita attraverso gli occhi sgranati e impauriti di Lucy e in quelli disarmati ma tenaci di Nicole, che mentre rivelano un malessere profondo e quasi insanabile, mostrano la forza di un amore filiale che non rinuncia a combattere.

Altrettanto studiata è la raffinatissima fotografia di Davide Manca, cupa e desaturata, che attraverso  pochi raggi di luce, disegna i contorni dei volti, stretti in una penombra soffocante e livida. Non da meno il commento musicale di Teho Teardo, perfettamente coerente con l’impianto estetico del film, nella sua insinuante cupezza. Lì dove è forse appena un po debole l’opera di Petitto, senza per questo perdere mai di mordente, è sul piano dello scandaglio psicologico dei personaggi e dei loro legami: la sincera e diremmo quasi commovente fiducia di Petitto nella forza delle immagini non basta infatti a colmare qualche lacuna sul piano narrativo, che comunque, non ostacola affatto una visione emotivamente coinvolgente ed esteticamente di grande impatto.

Addolora profondamente la prematura scomparsa di Giuseppe Petitto, un regista ancora giovanissimo che, dopo una bella carriera nel documentario, suggellata anche da importanti riconoscimenti, con questa sua prima opera di finzione ha mostrato una grande maturità stilistica e una sensibilità non comune nell’affrontare una storia difficile e sfaccettata: a noi che restiamo, lascia il rimpianto di una voce già compiutamente autoriale che avremmo voluto ascoltare ancora molte volte.

* la poesia di Emily Dickinson, datata 1863, è tratta da Silenzi (The Poems of Emily Dickinson) a cura di Barbara Lanati, 2000 (1986) Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano. P.98.