Parliamo di Goonies e dello straordinario ritorno agli eighties nel cinema e nelle serie Tv fortemente alimentato dal fenomeno Stranger Things. La Amblin Entertainment, la casa di produzione fondata da Steven Spielberg e Frank Marshall nel 1981 dopo il grande successo di Indiana Jones e I predatori dell’arca perduta, in pochi anni era stata capace di dare alla luce uno dietro l’altro film che sarebbero rimasti per sempre nella storia del cinema (per ragazzi e non solo): nel 1982 E.T. l'extra-terrestre, nel 1984 i Gremlins, nell’85 tre titoli come Ritorno al futuro, Il colore viola e I Goonies tutti insieme, nel 1986 Fievel sbarca in America, fino a Chi ha incastrato Roger Rabbit nel 1988.
L’impronta di Spielberg è riconoscibilissima in tutti i film della Amblin, così come nei Goonies, uno dei film culto per gli adolescenti degli anni Ottanta, di cui ideò il soggetto. In questo caso la regia è affidata a Richard Donner, già noto per Superman (1978) e Ladyhawke (1985), e che in seguito avrebbe diretto i quattro episodi di Arma Letale con Gibson.
Se ci soffermiamo in maniera così minuziosa sui particolari produttivi e filmografici dei “padri” dei Goonies è per evidenziare un aspetto predominante in questo film, uno di quegli ingredienti che ne avrebbe determinato il successo e la massima presa sulla folla degli spettatori: il citazionismo e l’auto-citazionismo. Di che cosa stiamo parlando? I Goonies è uno di quei film che si sviluppa sulla base di una trama semplice, quasi elementare (per salvare le loro case dalla demolizione un gruppo di ragazzini parte alla ricerca del tesoro di un pirata leggendario) poi condita con una serie di gag ricorrenti (quelle che ci fanno affezionare ai personaggi e che ci fanno sentire al sicuro perché capaci di prevedere quale sarà la loro prossima mossa), e vivacizzata dal susseguirsi di incredibili avventure dei protagonisti.
L’esperienza della visione da cosa è resa unica ed indimenticabile allora? Il fatto è che I Goonies è uno di quei film “farciti” da un numero elevatissimo di citazioni di altri film cult del passato (western, pirateschi, polizieschi) o del presente allora contemporaneo, che rappresentano strizzatine d’occhio allo spettatore, come verifiche in tempo reale della sua prontezza di spirito o del suo essere sintonizzato sullo stesso canale di regista e sceneggiatori.
I quattro teenager, l’asmatico Mikey (Sean Astin), il bel muscoloso Brandon (Josh Brolin), il grassottello Chunk (Jeff Cohen), il disilluso Mouth (Corey Feldman), e l’intelligentone Data (Jonathan Ke Quan) insieme alle due ragazze Andy (Kerri Green) e Stef (Martha Plimpton), partiti alla volta della loro caccia al tesoro, restano coinvolti in una spaventosa, ma eccitante, avventura in pieno stile Indiana Jones - e questo è già il primo riconoscibilissimo richiamo ad un mondo filmico già “visto” altrove -, attirando, per giunta, alle proprie calcagna l’inseguimento della sgangherata banda criminale dei “Fratelli”. La banda Fratelli merita una nota a parte per due considerazioni: la prima è la traduzione del loro accento, nel doppiaggio italiano, con quello siciliano stile Padrino che ormai nel cinema equivale alla rappresentazione della matrice delinquenziale. La seconda è la legenda diffusa tra i cultori del film che la mamma “Fratelli” fosse in realtà impersonata da un uomo, quando nei titoli del film si evince chiaramente che il ruolo fu dell’attrice Anne Ramsey poi doppiata però da Vittorio Stagni. Infine nel momento in cui il gigante buono Sloth (interpretato da un ex giocatore di football americano con un trucco “mostruoso” di 5 ore addosso), a bordo della nave pirata, arriva a salvare i Goonies dalle grinfie dei suoi stessi “Fratelli”, si strappa le vesti di dosso, e scopre sul petto una maglia con la “S” di Superman, accompagnato dallo stacchetto musicale del film originale, di cui infatti fu regista lo stesso Donner.
Piovono citazioni di continuo, e non solo riferite al mondo del cinema: il marchingegno che permette di aprire la porta a Chunk all’inizio del film ricorda un famosissimo gioco da tavola statunitense, poi importato in Italia da Hasbro, The Mouse Trap; la colonna sonora del film vanta come tema principale The Goonies 'R' Good Enough scritta ed interpretata dalla pop star Cindy Lauper, che compare nella scena in cui Mikey sta guardando in tv il video dello stesso brano (video girato coi Goonies) e l’inquadratura si restringe con un primo piano sulla cantante. Quando Chunk chiama lo sceriffo al telefono e chiede aiuto, il poliziotto non gli crede (a causa dei suoi consueti scherzi telefonici) e gli rinfaccia “non sarà come quella volta che hai chiamato per dei mostriciattoli che si moltiplicavano se gli buttavi dell’acqua addosso?” che è un altro riferimento stavolta ai Gremlins (produttore Spielberg, sceneggiature Chris Columbus come per i Goonies). O nella corsa in bici di Brand, quando viene agganciato dalla automobile di Troy (il bullo di scuola), e la bici spicca il volo per l’alta velocità, in cui ovviamente si nasconde un ricordo delle bici volanti al chiaro di luna di E.T.
Proiettato e riproiettato a ripetizione dalle emittenti televisive di mezzo mondo, I Goonies diventa un vero cult per le generazioni degli anni Ottanta, che ancora oggi ricordano la pellicola come una di quelle essenziali della propria adolescenza. Dunque per questo era inevitabile, a 30 anni di distanza, l’operazione revival. A causa della evoluzione dei media però, l’omaggio allo stile eighties, ai sapori, alle atmosfere, agli oggetti di culto (il telefono a parete, il walkman, la bicicletta tipo “bmx” o “saltafossi”, i cabinati per videogame Arcade, gli orologi da polso digitali con calcolatrice), all’impasto cromatico delle pellicole di quegli anni viene partorito, nel 2016, non da un film per il cinema, bensì da una serie televisiva Netflix: Stranger Things dei giovanissimi gemelli Matt e Ross Duffer (classe 1984).
Reinventare il passato diventa così una sfida più avvincente che immaginare il futuro. E realizzare una serie Tv ambientata nel 1984 ha messo la produzione davanti a sfide di carattere tecnologico non banali. Per mantenere intatto l'effetto nostalgia, per esempio, era fondamentale riproporre la granulosità, la morbidezza visiva tipica delle produzioni passate. Procedimento non semplice quando bisogna girare in digitale dei prodotti di fiction che vengono fruiti su schermi che vanno dai 65 pollici ai 5 di uno smartphone. Così ad esempio il direttore della fotografia, Tim Ives, ha spiegato che per riprodurre “la rotondità tipica delle tonalità anni ottanta", si è girato con delle ottiche Leica. Allo stesso modo i grafici dei fratelli Duffer si sono messi all’opera per partorire uno stile che fosse in linea con il mood eighties anche per il lettering del titolo della serie, chiaramente influenzato dai caratteri tipografici usati nelle cover di molti libri di Stephen King.
Con Stranger Things i Duffer non solo realizzano “un inno all’estetica degli anni ’80”, ma si buttano nello stesso virtuosismo citazionistico dei film del passato, disseminando ogni puntata della serie di una grandissima varietà di riferimenti, citazioni, omaggi a Spielberg a Stephen King, da Nightmare a Poltergeist, da Alien ai Goonies appunto. Tanto che i fan della serie ad ogni nuova uscita impazzano sul web in una sorta di sfida “a caccia della citazione”. La banda di ragazzini protagonisti di Stranger Things composta da quattro preadolescenti e dai loro fratelli e sorelle maggiori ricalca chiaramente la composizione dei quattro Goonies (anche nella serie abbiamo un malaticcio, un belloccio, un grassottello e un intelligentone, stavolta afroamericano e non orientale). Inoltre la migliore amica di Nancy, Barb (Shannon Purser), ha gli stessi occhiali e look di Martha Plimpton nel film di Donner. E infine c'è un'altra citazione più nascosta: il bulletto che tormenta Mike e i suoi amici si chiama proprio Troy, come quello dei Goonies. Nella seconda serie infine l’omaggio ai Goonies è dichiarato: uno degli interpreti chiamato dai Duffer per la parte del nerd Bob è proprio l’attore Sean Astin che fu Mikey nei Goonies.
Goonies e non solo: in Stranger Things sono fortissimi anche i riferimenti anche a Stand by Me, di Rob Reiner tratto dal racconto di King “The Body”, specialmente nel quarto episodio della prima serie. Gli attori pare abbian fatto dei provini leggendo proprio brani della sceneggiatura di Stand by Me e in una scena li vediamo addirittura passeggiare sulle rotaie in mezzo al bosco come i quattro giovani protagonisti del film. Insomma il segreto del grande successo di Stranger Things oggi è inequivocabilmente legato a quello dei Goonies e di tanto altro cinema di genere fantasy/soft horror/ avventura degli anni Ottanta.
Quel che è certo è che il continuo travaso di rimandi da un film all’altro, dal presente dei millenial al passato degli eighties non possa che fare bene alle nuove generazioni di cinefili o cinecultori, che potranno crescere stimolati da un innegabile amore per il cinema e per il visivo e dalla rievocazione costante di un background di immagini che potranno fungere da semi per le visioni di domani.