Stéphane ed Issa, 40 anni il primo e quindici il secondo, poliziotto bianco uno, teppistello nero l’altro. Due giorni per conoscersi in una banlieue di Monfermeil, poco a nord di Parigi, nel luglio del 2018, mentre la nazionale di calcio vince il mondiale. Ad ostacolarli la rabbia di un quartiere in mano a bande di africani e zingari e i due colleghi di Stéphane, Chris bianco e Gwada nero, alla cui squadra il “brigadiere Ruiz”, come Stéphane si fa chiamare, si è appena unito per un incarico che lo avvicina al figlio in affido alla ex. A riprenderli, invece, il drone di Buzz, timido coetaneo di Issa, il cui giocattolo si eleva a teste limpido della realtà delle strade e dei palazzi di sotto, tesi come bombe ad orologeria.

Due giorni per conoscersi, due training days per Stéphane, che come la matricola Hawke nel film di Antoine Fuqua si fa strapazzare da colleghi navigati nel primo giorno di lavoro (là il capo era un marcio Denzel Washington), ma anche per il giovane Issa, deprivato in poche ore della purezza e dell’innocenza di adolescente da riti iniziatici insostenibili e brutali.

Ladj Ly, nato in Mali 42 anni fa, esordisce nel lungometraggio di finzione con I Miserabili (distribuito su Miocinema e Sky Primafila), estensione paterna dell’omonimo corto da lui diretto nel 2017, aggiudicandosi il Premio della Giuria a Cannes 2019. Sceglie musiche ipnotiche che ricordano le partiture di Cliff Martinez per Soderbergh, un montaggio veloce che concede rare soste di quiete e una macchina da presa enfatica e volitiva. Guarda a Victor Hugo per il suo Issa-Gavroche e a Spike Lee per sé, per stile filmico e dignità nera (impossibile non pensare agli abusi dei poliziotti bianchi sulle giovani di colore di BlackKklansman quando Chris, reattivo collega di Stéphane, ferma pretestuosamente tre ragazzine nere alla fermata del bus).

Costruisce il film su due movimenti e su altrettante giornate: il primo copre un arco emotivo e temporale da mattina a sera, il secondo un climax di qualche ora nel giorno successivo. Issa ruba un cucciolo di leone dal circo zingaro; i rispettivi clan -i “Gipsy Kings”, come li chiama Chris, e i mafiosetti africani che controllano il quartiere e la banda di Issa- si dichiarano guerra; il trio di poliziotti tallona entrambi e restituisce il leone. Nel mezzo, Stéphane salva due volte la vita ad Issa, vittima sacrificale delle frustrazioni dei poliziotti e del sadismo degli zingari. Nella mattina successiva, racchiusa nell’ultima mezz’ora del film, il racconto conosce un rilancio che lo sposta dall’ottima pellicola d’azione, sociale ed etica, che era stata fino a quel punto ed interroga le coscienze. Perché se è dichiarata la presenza di Victor Hugo, si scorge anche Il signore delle mosche di Golding fra i riferimenti di Ladj Ly. Un Issa trasfigurato dalle violenze subite e fattosi capace di qualsiasi cosa accumula gradi di disumanizzazione ad ogni gradino di quella scala che lo riporta fisicamente e simbolicamente di fronte a Stéphane. Il quale invece di rinfacciargli quel che ha fatto per lui gli ricorda, come farebbe un padre, di non fare sciocchezze.

La morale per Ladj Ly è quella di Hugo, la cui citazione chiude il film e troviamo prudente riportare: “Non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.