Il Cameraman, primo lungometraggio che Buster Keaton girò alla MGM, è stato accolto in Piazza Maggiore con un’incredibile entusiasmo. La comunità voleva guardare il piccolo uomo che, per conquistare la ragazza dei suoi sogni, si batte contro le difficoltà della vita, senza perdersi d’animo. Per vederlo le persone, di tutte le età, hanno letteralmente invaso la Piazza bolognese. Lo precedeva dapprima una breve selezione di alcuni cortometraggi dei fratelli Lumiérè curata da Thierry Frémaux che, inoltre, li commentava insieme a Cecilia Cenciarelli producendo, oltre ad una generale fascinazione, un’ulteriore suspence negli animi degli spettatori.

Successivamente Kevin Brownlow ha presentato il film raccontandone le vicissitudini della lavorazione. Il direttore della Cineteca Gian Luca Farinelli ha poi concluso l’introduzione mostrando l’home-movies, consigliato da Brownlow, di una coppia italiana di novelli sposi a New York che durante il loro viaggio si imbattono in Keaton sul set, delle uniche due scene girate a New York, di Il Cameraman,.  Questo filmato richiama e mostra la folla che Keaton descrive nel libro ‘Memorie a rotta di collo’: “A New York e in altre città la folla è sempre d’intralcio. […] In un attimo mi trovai circondato da così tanta gente che il poliziotto più vicino non riusciva ad avvicinarsi. […] Quando alla fine fui riportato alla limousine dove mi aspettava l’angosciato Sedgwick, gli feci notare l’ironia nella frase della sceneggiatura che descriveva questa scena. La frase diceva: ‘Nessuno a New York sa che questo personaggio esiste.’ ”.

Il maestro Timothy Brock, che per l’occasione ha scritto una nuova partitura, dà il via e la proiezione inizia. Le immagini scorrono e Keaton si batte contro il mondo, le folle, il tempo e lo spazio per tutta la durata del film come soprattutto ci mostra la sequenza della corsa verso l’abitazione dell’amata. Questa non fa in tempo a finire la conversazione con lui che, voltandosi, lo vede lì, in piedi, a scusarsi “per il ritardo”. Solo menti brillanti come quelle di Keaton e Sedgwick possono creare la scena della corsa, in giù e in sù, sulla scala e sul grande schermo se ne ha una maestosa rappresentazione. La macchina da presa si muove dall’alto verso il basso e viceversa seguendo l’ometto, folle d’amore, nella sua frenesia.

È un movimento fluido, ma al contempo, per quello che il nostro occhio percepisce, è anche estremamente vivace tale è la costruzione dello spazio all’interno dell’inquadratura e la dinamicità fisica dell’attore. Vista sul grande schermo di Piazza Maggiore anche la sequenza dello spogliatoio è diversa, più libera e meno angusta per lo spettatore, ma esattamente il contrario per Keaton che, mentre tenta di cambiarsi, viene schiacciato contro le pareti della cabina, e dello schermo, fino a quando vediamo emergere un’esile mano che vuole chiedere aiuto. Sembra sconfitto, ma non lo è mai, anzi è sempre vittorioso. Buster prova a dimostrare in ogni modo a Marceline che lui può essere come gli uomini che la circondano. Vuole fare l’operatore di cinegiornali, occuparsi di faccende serie, per prometterle un futuro insieme, ma egli è impossibilitato a vivere in sintonia con la realtà. Infatti a salvarlo dallo sconforto non è un amico, bensì una scimmietta.

In questo film Keaton ha bisogno di una spalla, ma essendo ormai molto distanti dai tempi con Fatty Artbuckle non può averne una di questo genere. Keaton ha infatti raggiunto, per il suo personaggio, l’apice dell’estraneità dal mondo di cui si fa beffe sia a livello cinematografico - quando il suo personaggio mostra alcuni filmati, girati in maniera sbagliata, creati attraverso sovrimpressioni questo effetto subito porta la memoria all’avanguardia sovietica e al loro sperimentalismo - sia a livello di racconto, vuole una storia semplice e il più tradizionalmente americana possibile, così semplice che può appunto essere girata anche da una scimmia, ma chi viene acclamato alla fine è Keaton e se non lo è dalla folla del film, lo è stato da quella di Piazza Maggiore