Nel 2005 Jeannette Walls, giornalista di gossip per testate trendy come il New York magazine ed Esquire, scrisse una ben poco edificante autobiografia, Il castello di vetro, esponendo i dettagli dolorosi di un passato familiare quasi insostenibile. Il libro divenne un enorme successo sul mercato statunitense, un longseller a tutt'oggi, e ha dato origine all'omonima pellicola cinematografica di Destin Daniel Cretton del 2017, distribuita in Italia dopo oltre un anno dall'uscita.

In essa, Jeannette è un'affermata giornalista di New York che vive nel lusso con un facoltoso fidanzato, intenta a non lasciar trapelare troppo sulle proprie origini. Al tempo stesso è però persa nei ricordi in flashback della sua passata vita, secondogenita di quattro fratelli con due genitori definibili in alternativa come sbandati hippie ai margini o fieri antiborghesi vagabondi: Rex è un alcolista che lascia la famiglia senza cibo per giorni, ma anche un padre affettuoso e un affabulatore ammaliante al sapore della vita e della libertà; Rose Mary è una madre che abbandona i figli a se stessi con disastrose conseguenze, persa nelle sue velleità artistiche, ma anche una creatura fragile e leggiadra.

Negli Stati Uniti, molto attenti alla political correctness, Il castello di vetro è stato accolto dalla critica con accenti polemici per il ritratto sin troppo simpatetico di quelli che nella pratica clinica verrebbero senza alcun dubbio considerati genitori emotivamente abusanti, per di più legati fra loro da un rapporto malato di co-dipendenza. In realtà il film non è centrato su di loro, sulla loro condanna o validazione, ma sulla costruzione dell'identità e della stabilità emotiva di Jeannette da adulta, e si pone un quesito in qualche modo più sottile: se sia possibile realizzare se stessi prescindendo dalla propria storia, o sia necessario in ogni caso necessario riconciliarsi con essa.

Per quanto alcuni aspetti della narrazione possano risultare perturbanti, soprattutto il finale, è anche vero che si tratta di un racconto biografico attento alle finezze psicologiche, non una saga epica dalla quale aspettarsi il trionfo dei buoni e la distruzione dei cattivi. Il castello di vetro è un'opera di impianto classico, trainata da una sceneggiatura ricca di sfumature emotive e da ottime interpretazioni (Brie Larson, Woody Harrelson, Naomi Watts, ma anche un manipolo di giovani e giovanissimi attori fra i quali spicca Ella Anderson, nel ruolo di Jeannette a 11 anni). Inevitabile dunque che tenda a creare aspettative sulla redenzione di un'eroina di molte qualità dal suo fosco passato. Cosa in effetti avviene, ma con modalità che scartano tanto dagli standard attesi da generare in alcuni un senso di frustrazione, in altri un sentimento di compassione. O, forse, addirittura entrambi.