Paul Batala (Jules Berry) è il disonesto proprietario di una casa editrice parigina. Alle obbedienze di Monsieur uno stuolo di operosi redattori sottopagati, o meglio non pagati, e un via vai di avvenenti signorine che con snervante ingenuità si lasciano puntualmente sedurre e abbandonare dallo sfiorito viveur. L’unica in grado di tenerli testa è Madame Valentine (Florelle) - la Clémentine de L’Atlantide di Georg Wilhelm Pabst - intraprendente proprietaria di una piccola lavanderia di quartiere e spavalda corteggiatrice del timido aspirante scrittore Amèdeè Lange (René Lefèvre). Perseguitato dai creditori, e dopo aver messo incinta la giovanissima Estelle (Nadia Sibirskaïa), l’imprenditore scompare dalla circolazione facendo credere a tutti di aver perso la vita in un terribile incidente ferroviario. Grazie alla brillante iniziativa del Signor Lange di riunire tutti gli ex dipendenti in una cooperativa autogestita e pubblicare finalmente i suoi romanzi a puntate - le avventure di “Arizona Jim” - la casa editrice ottiene un grande successo economico risollevando i destini e gli umori di tutta la piccola comunità di quartiere che vi ruota attorno. Ma proprio in una sera di festa, quando tutto sembra essersi risolto per il meglio, Batala riappare...
Jules Berry - ricordato principalmente come protagonista, al fianco di Jean Gabin, del capolavoro di Marcel Carné, Alba tragica - è il caratterista perfetto per il ruolo di viscido truffaldino. Esile, naturalmente elegante e con grandi velleità d’improvvisatore maturate durante una lunga gavetta sui palcoscenici di Bruxelles, Berry è stato uno degli attori francesi più richiesti degli anni Trenta. Attorno a lui gravita una nutrita galassia di personaggi - la storia nasce e si sviluppa in un cortile interno tipico dell’ambientazione parigina - che sembra emergere da un affresco in bianco e nero di Robert Doisneau. Una favola sociale colma di ironia e indissolubilmente legata a un preciso momento della storia politica transalpina. Il delitto del Signor Lange prende vita all’interno del Gruppo Ottobre - una delle molteplici realtà politico culturali nate nel pieno clima di speranza del Fronte Popolare - di cui il poeta Jacques Prévert, sceneggiatore del film, è il più grande sostenitore grazie al suo inesauribile contributo artistico.
Siamo nel 1935 e nel cinema di Renoir vige una sorta di vocazione umanista della quale solo quattro anni dopo, alla vigilia dello scoppio della guerra, non troveremo più traccia in quell’impietoso affresco dell’alta borghesia francese – ma la meschinità dei servitori non è da meno - che è La regola del gioco. Se del profetico monito sulla disfatta politica e morale che di lì a poco avrebbe investito il Paese in questo film non c’è ancora traccia, sul piano stilistico Il delitto del Signor Lange anticipa di fatto tutte le innovazioni stilistiche che faranno grande il cinema di Renoir: dalla profondità di campo - di cui di lì a poco faranno largo uso Orson Welles e William Wyler - al rigetto del décupage tipico del cinema classico e la predilezione per i piani sequenza o meglio il long take perché ancora si parla di più inquadrature.
La sequenza finale, in cui Batala molesta in cortile Valentine, ormai compagna - qui nella doppia accezione politica e sentimentale - di Lange che nel frattempo si trova al primo piano dell’edificio, viene restituita da Renoir attraverso un elaborato movimento di camera. Se nel cinema dell’epoca qualunque altro regista sarebbe ricorso alla frammentazione con il montaggio alternato, l’autore parigino opta per la continuità temporale e la tridimensionalità spaziale, seguendo dall’esterno dell’edificio la corsa di Lange e costringendo lo spettatore ad un inedito punto di vista parziale. La macchina da presa posizionata all’esterno dell’edificio restituisce solo a brandelli, nei brevi istanti in cui appare fra una finestra e l’altra, la corsa dell’uomo. Nelle sale d’essai degli anni Sessanta, i registi cinefili della nouvelle vouge, sulla scia del loro mentore André Bazin, scorgeranno in Renoir, proprio grazie a queste sequenze da manuale di tecnica cinematografica, il vero precursore del cinema moderno.