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“La donna della spiaggia” e il cinema onirico di Renoir

Se è vero che ogni cosa trova una sua sistemazione, nella gioia o nel dolore, attraverso lo sguardo di Renoir, lo stesso non si può dire della travagliata storia produttiva del film, uscito nel ’47: riscritto a più riprese e rimontato due volte per volontà della RKO, fu comunque un insuccesso e costò a Renoir la carriera hollywoodiana. Restaurato qualche anno fa a partire da un duplicato di sicurezza del negativo 35mm, lo si ammira oggi come un noir decisamente atipico, perché imbevuto di un’atmosfera sognante e di un torbido mistero legato alle implicazioni inconsce piuttosto che all’intrigo adulterino.

“Tire-au-flanc” e la risata lontana dalla guerra

Tire-au-flanc esce nel 1928 e gli anni della Prima Guerra Mondiale appaiono forse abbastanza lontani dal permettersi di ridere nuovamente di certe cose. Farlo pochi anni prima sarebbe stato probabilmente impossibile perché ogni famiglia aveva subito perdite e i dolori erano ancora freschi. Il conflitto aveva però avuto un risvolto inevitabile: tutti, volenti o nolenti, erano entrati in contatto con la vita militare e quindi si conoscevano pregi e difetti di quel mondo. Proprio qui si inserisce il film, che con leggerezza sembra quasi scacciare via in maniera con una risata propiziatoria il dolore del passato.

“La regola del gioco” e la necessità di organizzare l’improvvisazione

Servono poco più di 20 minuti a Jean Renoir per rivelare La regola del gioco: ognuno ha le proprie ragioni. Sedersi al tavolo senza essere adeguatamente preparati o accettarne i meccanismi può risultare fatale, un po’ come accaduto al pubblico che ebbe la (s)fortuna di guardarlo nelle sale nel 1939. Su trentasette recensioni contemporanee all’uscita, quattordici erano ostili, sei ambivalenti, sei favorevoli con riserve e cinque quasi del tutto favorevoli. Messi di fronte ad una verità demistificata, talmente candida da essere bruciante, i critici e gli spettatori non accettarono di vedere il mondo a cui avevano tacitamente aderito privato di una incosciente edulcorazione.

I bassifondi tra Gor’kij e Renoir. “Verso la vita” di Jean Renoir

Jean Renoir dirige Jean Gabin e Louis Jouvet nel libero adattamento del testo teatrale di Gor’kij. Se nel 1902 Gor’kij colloca ogni vicenda dentro le mura dell’oscuro dormitorio sul Volga, trentaquattro anni dopo Renoir vi evade già dalla prima scena. Mentre il testo teatrale rappresenta un’umanità misera e immobile, Renoir emerge dall’abisso ipotizzando la possibilità di un riscatto. Insomma i bassifondi del drammaturgo sono  molto distanti da quelli del regista. Gabin trentenne, da poco avviato al successo (proprio intorno al ‘36 interpreta i suoi ruoli più fortunati) è un ladro che desidera una vita onesta con la sua amata, ma sarà ostacolato dall’avido proprietario del rifugio e dalla sua gelosissima moglie, sorella della ragazza.

Jean Renoir legge Charlie Chaplin

Tempi moderniMonsieur Verdoux e Luci della ribalta sono probabilmente i film più complessi da affrontare della filmografia di Charlie Chaplin e Jean Renoir nei suoi scritti li affronta tutti e tre. “Questo rinnovamento interiore è uno dei segni del genio. Presuppone un coraggio forse inconscio, ma innegabile. Pochi autori possiedono questo coraggio. Credono di mettersi al livello di quella che chiamano ‘la massa’, evitano accuratamente ogni originalità interiore, e si limitano a dare l’impressione del rinnovamento […]. Aspetto con impazienza il momento in cui questa massa, che essi credono di aver conquistato, avrà infine la sua parola da dire e spazzerà via come si deve tutta questa elegante gentaglia”.

Jean Renoir, René Clair e Hans Richter tra arte e cinema sperimentale

La Parigi onirica di René Clair è teatro di un contesto quasi surrealista, in linea con il pensiero rappresentativo della Ville Lumière secondo il regista francese. Un quotidiano che si ribalta, si svuota del consueto dinamismo e assume sfumature inquietanti, dove i pochi scampati dall’incantesimo di uno scienziato “passo” si illudono di poter essere finalmente liberi. Una giornata di lavoro, più volte rimontato e risonorizzato da Richter, è un’esplosione di esperimenti con la macchina da presa. Realismo e sogno si alternano nei due film di Renoir. Ai tre registi, che col cinema sonoro affermarono il loro “essere cinefili”, va certamente attribuito il merito, nel muto, di seguire la stessa linea direttrice dell’arte figurativa d’avanguardia, portandola sullo schermo e mostrandocela in tutta la sua bellezza e complessità.

“Toni” di Jean Renoir e il naturalismo dell’amore

L’Europa dell’epoca si muove in una direzione diversa ma Renoir, come dimostrerà anche successivamente con La grande illusione, dirige un film profondamente umano, ironico e tragico, semplice come i suoi personaggi. La vita in campagna è colta nella sua essenzialità, non ci sono ricostruzioni di ambienti, attori affermati né tantomeno enfatici commenti musicali. Il regista rispetta la solennità del silenzio, preferisce il fruscio degli alberi alla colonna sonora registrata. Si percepisce l’eco di Aurora di Murnau (la sequenza dell’annegamento dovuta alla lite coniugale, la corsa nell’erba alta) e il sentimento del Neorealismo prima ancora che questo fosse anche solo un’idea abbozzata. Naturalezza è la parola d’ordine di questa storia in cui l’amore viene intorbidito dall’influenza del denaro.

“Il delitto del Signor Lange” e la vocazione umanista

Siamo nel 1935 e nel cinema di Renoir vige una sorta di vocazione umanista della quale solo quattro anni dopo, alla vigilia dello scoppio della guerra, non troveremo più traccia in quell’impietoso affresco dell’alta borghesia francese – ma la meschinità dei servitori non è da meno – che è La regola del gioco. Se del profetico monito sulla disfatta politica e morale che di lì a poco avrebbe investito il Paese in questo film non c’è ancora traccia, sul piano stilistico Il delitto del Signor Lange anticipa di fatto tutte le innovazioni stilistiche che faranno grande il cinema di Renoir: dalla profondità di campo – di cui di lì a poco faranno largo uso Orson Welles e William Wyler – al rigetto del décupage tipico del cinema classico e la predilezione per i piani sequenza o meglio il long take perché ancora si parla di più inquadrature.

La finestra, il cristallo e il tempo in “La grande illusione”

In La grande illusione nulla è lasciato al caso, da un movimento di macchina su un dettaglio alla disposizione degli ambienti, al linguaggio parlato, e così via. La finestra, che tanto ricorre nei film di Renoir, anche qui è più volte elemento chiave della narrazione: va coperta per non essere visti, dà luce e quindi allontana il buio funesto (sia per l’uomo, sia per un fiore), è una via di fuga ed attraverso essa si è spiati, da qualcuno e dalla macchina da presa allo stesso tempo.  La finestra dà forma alla cornice, suddivide in piani e proporzioni, è qualcosa che per Renoir è importante sottolineare. Ciò che è fuori dal campo visivo va usato solo in determinate situazioni, giocando con ombre, allusioni e paure dei personaggi.

Cinema Ritrovato 2017: “Il delitto del signor Lange”

Come sostiene Jean Douchet (anche grazie all’apporto del sonoro durante i primi anni Trenta) Renoir sapeva perfettamente come scovare e gestire la drammaticità del conflitto, in tal caso sociale, circoscrivendolo all’interno di un contesto teatrale, scenograficamente e anche dal punto di vista della sceneggiatura, curata in Il delitto del signor Lange da Jacques Prévert.