La vita Salvatore Ferragamo è stata un’epopea colma di viaggi verso luoghi sconosciuti, vittorie, sconfitte e ostacoli superati grazie ad un talento cristallino unito ad una ferrea determinazione. Praticamente una storia che pare ideata da geni del racconto cinematografico come D.W. Griffith o Cecil B. DeMille, personaggi per cui questo pioniere del Made in Italy ha lavorato durante il suo scintillante soggiorno hollywoodiano. Ma Ferragamo non è né un protagonista delle Guerra di secessione né un profeta biblico, ma un semplice calzolaio di estrazione proletaria; un artigiano che mosso da una smisurata ambizione ha coltivato sensibilità pratica e gusto estetico, intercettando inoltre la vocazione espansionista della giovane economia USA, fino creare un impero attorno al proprio nome. La storia del “calzolaio dei sogni” racchiude una moltitudine di elementi sensazionali tale da tramortire qualsiasi potenziale produttore che da essa volesse trarre un soggetto filmico.

L’opera tramite il quale Luca Guadagnino ripercorre gli episodi più significativi della vita di Ferragamo non è però un sontuoso coming of age, ma un semplice, per quanto accurato, documentario che punta a restituire lo straordinario arco della sua carriera. Si parte quindi dagli umili natali nel borgo di Bonito, nella provincia avellinese, per procedere poi agli spostamenti che fin dalla giovanissima età hanno segnato l’esagitata personalità di un individuo al di fuori del suo tempo, perennemente alla ricerca di nuove vie attraverso cui sperimentare le sue idee ed ampliare le sue conoscenze.

Procedendo in questo modo vengono portate in scena le tappe cruciali della sua esperienza; Napoli e l’apprendimento dell’arte del fabbricare calzature, gli Stati Uniti e la concretizzazione dell’american dream, per giungere infine al ritorno in Italia, a Firenze, e alla consacrazione del marchio “Ferragamo”: un moderno eroe dei due mondi, che Guadagnino racconta attraverso le testimonianze degli eredi e di coloro che nella loro professione si confrontano ancora oggi con le sue innovazioni.

Tra questi non mancano anche figure di spicco dell’ambito cinematografico, come il critico di Variety Jay Wessberg e la spiccante presenza di Martin Scorsese, i cui interventi paiono tutt’altro che fuori luogo dato il taglio che Guadagnino ha voluto attribuire alla sua ricostruzione. È quasi naturale che, nelle mani di uno dei registi maggiormente cinefili del cinema contemporaneo, Salvatore - Il calzolaio dei sogni finisca per essere un’opera fortemente intrisa di settima arte. È infatti proprio il periodo, relativamente breve, trascorso a Los Angeles ad essere restituito con maggiore enfasi, dipingendo Ferragamo alla stregua di un operatore il cui apporto è stato fondamentale per la costituzione della “Dream Factory” californiana di inizio Novecento.

Anche la ben più corposa fase del suo ritorno tra i confini nazionali conserva un marcato legame con il divismo d’oltreoceano in quanto elemento nobilitante della sempre più affermata attività di Ferragamo. In senso più ampio ci si muove tra i toni aurei di un racconto celebrativo che mira consciamente a tralasciare i passaggi potenzialmente più scomodi e ambigui (su tutti il rapporto con il regime fascista nell’epoca dell’autarchia) in virtù dell’esaltazione di un uomo, ancor prima di un professionista, mosso e sostenuto da una rara quanto fervida creatività.

In questa vicenda dalle connotazioni straordinarie, Guadagnino trova materiale per procedere nella costruzione del suo cinema estetizzante e in costante dialogo con i maestri che lo hanno preceduto. E così come la sfortunata esperienza documentaristica di Cuoco contadino (2003) ha rappresentato una fase di ricerca per la caratterizzazione di uno dei principali personaggi di Io sono l’amore (2010), chissà che nei lavori futuri del cineasta palermitano non si possa incappare in un fabbricante di scarpe dalle umili origini e un divenire radioso.