Può capitare che le aspettative, tanto da parte dei creatori quanto dei fruitori, suscitino un interesse almeno paragonabile a quello del film in sè. È il caso di Blade Runner 2049. Raramente un pedigree simile è stato meno in grado di rassicurare il pubblico. Se si trattasse di uno sci-fi "X", esistenzialismo virato noir che flirta col post-apocalittico e si interroga sulle contraddizioni dell'era virtuale, pochi avrebbero dubitato di una formazione composta da Roger Deakins, Hapton Fancher e dal duo Jòhann Jòhannson-Hans Zimmer. Per non parlare di Denis Villeneuve: una scorsa alla sua filmografia e abbiamo la città industriale di Enemy, svuotata e persa in una caligine alla Riflessi in un Occhio d'Oro. La pioggia battente nella sequenza della corsa in ospedale in Prisoners. L'azione di Sicario. Il deserto salino di Un 32 aout sur terre. Il nostro uomo insomma. Ma questo non è X. È il sequel di Blade Runner. “E allora”? Si potrebbe ribattere, avendo fra l'altro piena ragione. Nella risposta c'è la misura non di un fallimento artistico ma di una difficoltà di approccio da parte del pubblico che (gli incassi paiono confermarlo) evidenzia a sua volta l'assunzione di un notevole rischio produttivo.

Per il tasso di temi della fantascienza contemporanea toccati e come prosecuzione a distanza di un classico degli anni '80, il film di Villeneuve abita perfettamente i propri tempi. Non i tempi di una tendenza a coprire il vuoto di idee raschiando il fondo del barile e nutrendosi di carogne. Sequel e remake, a Hollywood e non solo, se ne sono sempre fatti. La differenza è semmai nel grado di consapevolezza di un pubblico sempre più abituato a cercare riferimenti espliciti al proprio vissuto cinematografico. Al richiamo di un brand di successo che garantisca una buona base di pubblico - da Star Wars a scendere - si affianca quello sempre più trasversale del "cinema di ieri", ormai sufficiente di per sè a dar vita a creazioni autonome (La La land, esempio perfetto di film non-sequel/reboot/remake che pure vive e prospera su un'immagine del passato). Destreggiandosi fra questi due poli niente affatto opposti sono stati architettati alcuni dei più clamorosi hit degli ultimi anni. Ed è qui che 2049 si smarca di quel tanto che può bastare a fargli perdere terreno.

Al di là delle ovvie considerazioni su ritmo e durata il problema è uno: Villeneuve ha girato un vero e proprio secondo capitolo, strettamente legato al capostipite. Per fare davvero presa (il budget che si punta a raddoppiare oscilla fra 150 e 180 milioni di dollari) necessita di risultare intelleggibile a grandi masse di pubblico. Ma quanti hanno davvero visto Blade Runner? Il "davvero" è fondamentale: gli appassionati sono tutt'altro che di bocca buona, col loro culto sempre sul punto di farsi fondamentalismo (“È curioso..la prima emozione è la paura..prima ancora di sapere chi siamo, abbiamo paura di perderlo.” A chi parla Niander Wallace? ); e che il capolavoro di Scott non disponga del seguito di massa di Star Wars o perfino Mad Max non può essere sfuggito ai produttori. L'idea di metterne in cantiere un sequel deve quindi trovare terreno fertile altrove: nell'inconscio collettivo, cinematografico e non. Quanta fantascienza successiva può dirsi immune alla sua influenza? Chi non ha mai citato – a volte senza avere idea della sua provenienza - il monologo finale di Roy Batty morente?

Nella proficua dialettica fra cinema di ieri e franchise - che proprio con questo film si cerca di definire avviando una saga - l'appeal di BR pendeva insomma decisamente verso il primo. Le decisioni prese non sembrano tenerne conto, a partire dal coinvolgimento di Fancher (sceneggiatore del primo film) e di un cineasta scrupoloso ed umile come Villeneuve. Ogni riferimento è seccamente funzionale alla trama, il massimo rispetto per l'originale tradotto nel minimo di deferenza. Il regista canadese non evoca fantasmi e la sua fiducia nella vitalità del materiale a disposizione si traduce in rigore e coerenza degnissimi del principale caso recente di autore prestato ad Hollywood. Si è ragionato un po' come nel 1986, quando James Cameron si vide affidare il compito di dar seguito ad Alien senza tradirlo nelle atmosfere ma aggiungendo il proprio tocco. Aveva sempre funzionato, purché il risultato fosse di qualità. Evidentemente si è scelta l'idea “sbagliata” di passato. Non resta che sperare in una riscossa finale. Per ora è questo sfortunato gigante a correre sulla lama.