Oggi proponiamo un articolo un po’ diverso. Va bene affrontare criticamente, e attraverso materiali storici, il restauro di Il mago di Oz, ma in fondo noi adulti siamo in grado di comprendere se e come questo film può ancora parlare alle nuove generazioni? Abbiamo chiesto a Francesca Divella di fare un esperimento famigliare, dove cinefilia e stupore infantile si mescolano tra loro. Questo il (soddisfacente) risultato.
Un evento come l’uscita in prima visione della versione restaurata di Il mago di Oz, era da tempo atteso (in famiglia) e quindi imperdibile. Come ogni revival capace di coinvolgere più generazioni nella condivisione di un’antica passione. L’esperimento a cui l’abbiamo sottoposto è stato quello di proporlo anche ai nostri figli, due bimbi di 8 e 4 anni. Per rispondere ad una semplice domanda: ll mago di Oz può funzionare anche sulle nuove generazioni di nativi digitali, cartoon dipendenti e futuri youtuber? Bambini, quelli di oggi, dai più descritti come scafati, disillusi, di certo poco romantici ed abituati all’impazienza, a trovare in qualunque prodotto artistico multimediale o di gioco la famosa “pappa” premasticata e pronta da buttar via in 5 minuti. Considerando l’entusiasmo dimostrato dai bimbi a fine visione (e la sala era gremita), evidentemente possiamo dichiarare che l’immaginario apparentemente semplice, ma archetipico, in cui il film si muove, esercita tutt’oggi un suo fascino indelebile. I bimbi sono cambiati, il successo di Oz resiste.
Il valore aggiunto di una visione vissuta con i bambini è di riuscire a rivedere questo grande classico con i loro occhi, lo stupore vergine e la semplicità delle loro domande: mamma come fa la strega a volare? Perchè è tutta verde, era la moglie di Hulk? Ma come ha fatto la casa a schiacciare la strega dell’Est? E che impressione quei resti di strega che scivolano via da sotto alla casa per poi sparire…E quei Mastichini sono dei bimbi o dei nani? Dorothy è una bimba o una signora? Il leone è maschio o femmina?
Cercando una risposta per ognuno di questi interrogativi ci rendiamo conto dei particolari che hanno reso vincente il film, nonostante le mille accuse di essere un prodotto lezioso e raffazzonato, a causa delle numerose mani (d’autore) che lo modellarono nei 136 giorni di riprese che segnarono la lunga gestione del film. La scelta della 17enne Judy Garland per interpretare quella che nel romanzo di Frank Baum era poco più di una bambina (scelta che per certi versi aumenta una sensazione di affascinante ambiguità diffusa per tutto il film), gli effetti speciali grandiosi per l’epoca e tutt’ora apprezzabili, gli espedienti narrativi utilizzati (molte sovrapposizioni di immagini per evocare i sogni o il cambio di dimensione Kansas/Smeraldo, il metacinema della sfera di cristallo della strega o nella finestra della stanza di Dorothy durante il tornado) sono a nostro avviso gli ingredienti che imbrigliano l’attenzione dei piccoli spettatori come reali tocchi di magia.
Infatti, una delle sequenze più esilaranti per i bambini è quella iniziale del volo di Dorothy finita con tutta la casa nell’occhio del ciclone: tramite l’espediente di una finestra spalancata dal vento che diventa cinema nel cinema, i bambini si divertono un mondo nella visione dei soggetti trasportati dal tornado (nell’ordine): un pollaio, una nonnina su sedia a dondolo che lavora a maglia e saluta Dorothy, una mucca volante, la vecchia Mrs Gulch in bicicletta che pedalando si trasforma lentamente nella terribile strega dell’Ovest a cavallo della sua scopa.
Ed ecco un altro pregio della pellicola, l’autoironia, il non prendersi troppo sul serio, le strizzate d’occhio allo spettatore. Infine, non è superfluo sottolineare, che Il Mago di Oz non è mai troppo pauroso o violento, pur avendo come soggetto un tema di per sé davvero spaventoso ed allo stesso tempo attraente per ogni bambino: il pensiero/tentazione di allontanarsi dalla casa natia per sperimentare un mondo nuovo e lontano, un mondo in technicolor contro quello bianco e nero virato seppia. E proprio sui colori (primari) si gioca l’ultima carta vincente di questa opera d’arte: immortali si stampano nella memoria dei piccoli spettatori il rosso delle scarpette di Dorothy, il giallo oro della strada di mattoni da seguire, il verde scintillante della Città di Smeraldo, il blu del cielo e degli sfondi disegnati in “matte paintings che fingono immensi paesaggi in lontananza” (Andrea Meneghelli Enciclopedia del Cinema Treccani): una celebrazione del colorismo più sfarzoso che ci riporta nella contraddizione eterna del film: se la morale che vuole insegnarci è che “Nessun posto è bello come casa mia”, perchè ci fa innamorare del mondo di Oz in maniera così irreversibile?
Il Mago di Oz entrò a far parte della memoria collettiva non tanto dopo la sua uscita al cinema nel 1939, ma soprattutto grazie alla sua ripetuta trasmissione in televisione che lo trasformò in un appuntamento fisso ed in una istituzione deliziando generazioni intere di bambini ed inserendosi in un meccanismo infinito di citazioni metacinematografiche. Tra i mille omaggi alla popolarità virale del film si ricorda quello esilarante di Martin Scorsese in Fuori Orario, dove la protagonista Rosanna Arquette (Marcy), confida a (Paul) Griffin Dunne del suo matrimonio andato a male a causa di un ex marito talmente in “fissa” per il film di Fleming, da urlare alla ragazza ad ogni rapporto coniugale “Surrender Dorothy”, frase che la strega intima alla protagonista del film di Fleming, stagliandola in cielo con la sua scopa.
Un altro di quegli effetti speciali indimenticabili che fa arrendere noi una volta per tutte alla eternità di questa pellicola.