Nella resa dei conti con la memoria, tra classifiche di fine anno e discussioni accese, c’è un bilancio che riguarda noi, giovani Padawan cresciuti col culto di Jedi e Sith, tra fede e dissenso. Noi reduci del figlicidio perpetrato da George Lucas che, con nostra stessa sorpresa, abbiamo accolto con malcelata trepidazione il nuovo corso Disney. Perché nel sottrarre la creatura al creatore, nel riaprire e sezionare trame a noi care, l’operazione ci ha caricati di speranza più che di aspettative: la speranza di riassaporare un po’ di quel fascino bambino che ci lega a Star Wars, al suo immaginario, ai suoi personaggi.
La saga degli Skywalker e le storie collaterali che ne sono derivate, per quanto intramontabili, non possono non tenere conto dell’atto di sacralizzazione collettiva che ne regge le fondamenta. È quello che deve aver pensato J. J. Abrams nel realizzare il primo capitolo della nuova trilogia, Il risveglio della Forza, confezionando un appetibile – e certamente valido – ricalco del glorioso Episodio IV. Dinamiche estremamente familiari che hanno senza dubbio ripagato, in termini di critica e incassi. In modo diverso deve averci pensato anche Rian Johnson, scegliendo spontaneamente di sfidare tanto il suo predecessore quanto le “regole d’oro” del franchising con l’anti-climax de Gli ultimi Jedi, un film che ha scosso le basi della mitologia al punto da condurre la Disney a un’ennesima inversione di rotta. Episodio IX – L’ascesa di Skywalker, con il ritorno di J. J. Abrams al timone, non rappresenta altro che un goffo tentativo di convincimento, una bizzarra e strabordante offerta di stimoli.
Intendiamoci, non che la strada scelta per terminare la saga non risulti, al fine, coerente rispetto alla nuova trilogia in sé, ma l’impressione è che i tentativi, gli esperimenti e i “non detti” proposti nei capitoli precedenti abbiano reso necessario un lavoro di cucitura eccessivo, che sfrutta ogni singolo momento per giustificare le scelte compiute e che sacrifica troppe volte il pathos sull’altare della spettacolarità.
Un vero e proprio salto nell’iper-spazio, questo Episodio IX, dove le motivazioni e le personalità dei personaggi vengono costruite decisamente fuori tempo massimo, come nel caso emblematico di Poe Dameron (Oscar Isaac) e Finn (John Boyega). Se alcuni soggetti della saga restano perlopiù ignorati (Rose Tico, Maz Kanata, perfino R2-D2) si trova addirittura il tempo per introdurne di nuovi (il Generale Pryde, Zorri Bliss, Jannah, D-O), mentre i conflitti e le passioni dei protagonisti si esauriscono in un autentico helter skelter.
L’incontro-scontro tra Rey (Daisy Ridley) e Kylo Ren (Adam Driver) pesca dal cilindro trovate acrobatiche e vecchie – vecchissime – conoscenze. La scelta è quella di ricucire i ponti con la prima amatissima trilogia, non rinunciando a incensare le possibilità del nuovo mondo, attraverso effetti speciali fastosi e dialoghi didascalici ed esageratamente epici, virando su strategie che ribaltano le nostre convinzioni di partenza, ma senza sconvolgere nulla. Perché la lotta tra lato chiaro e oscuro della Forza, pur ridimensionando l’aspetto profetico e leggendario della saga, ribadisce la morale della trilogia originale, solo con più carne a fuoco (e nemmeno così efficace in termini di merchandise). Abrams confeziona un film vertiginoso e frenetico, in cui è difficile anche scendere a patti con il famigerato “effetto nostalgia”, e mentre fa sapientemente i conti con la prematura scomparsa di Carrie Fisher, fallisce nel farsi portavoce di genuina sorpresa.
“Que reste-t-il de nos amours?” Per rispondere alla domanda di Charles Trenet si indicherà principalmente l’amarezza, mista alla sensazione di aver assistito all’ennesima occasione sprecata. Resta cucito addosso, come per i prequel, un persistente “what if…”, mentre all’orizzonte Werner Herzog e The Child (“Baby Yoda”) salutano con The Mandalorian una più luminosa speranza. Che sia nuova, però.