Qualche tempo fa, George Clooney ha fatto un'osservazione piuttosto arguta su come sia difficile per un attore interpretare un personaggio anziano, perché invariabilmente punterà a sembrare vecchio, mentre chi è vecchio in realtà cerca di apparire giovane. Questa riflessione suggerisce molto dell'eccellente l'interpretazione di Sergio Castellitto, classe 1953, nei panni di un centenario in Il più bel secolo della mia vita di Alessandro Bardani.

Il suo Gustavo, vitalissimo e indomito, viene prelevato da una casa di riposo da Giovanni, damerino tutto regole impersonato da Valerio Lundini, per recarsi a Roma al ministero a perorare una causa importante: quella dei bambini non riconosciuti alla nascita, che per la (reale) legge italiana hanno diritto a conoscere le generalità dei genitori biologici solamente dopo aver compiuto 100 anni. Per Giovanni, figlio adottato e militante contro la normativa, Gustavo è il portabandiera di una battaglia che può cambiargli la vita; per Gustavo, intenzionato a lasciar stare il passato e a godersi al massimo il presente, si tratta di un'occasione d'oro per rompere le regole e far baldoria.

Si sprecano, sullo schermo, i road movie come incontro inaspettato di opposti che normalmente non si frequenterebbero mai. E naturalmente le occasioni brillanti aumentano se le polarità si mischiano come in questo caso, con un giovane inquadratissimo e un anziano scavezzacollo. Nondimeno, la formula risulterebbe alquanto logora se non fosse sostenuta con intelligenza sia da una sceneggiatura (dello stesso Bardani, assieme alla premiata ditta Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, da una pièce teatrale da lui scritta con Luigi Di Capua) in grado di bilanciare divertimento e pudica commozione, sia da interpreti in ottimo stato di forma.

Se Castellitto centra con sagacia una delle migliori performance della sua carriera – e fa piacere sia in una commedia e non in un dramma – Lundini, pur muovendosi in un ruolo in parte attiguo al suo personaggio comico televisivo, in grado di elevare il cringe a chiave di lettura della contemporaneità, riesce giustamente a lasciarsene alle spalle le abbondanze e le affettazioni, e a restituire un Giovanni misurato e convincente. Da citare poi la prova di Carla Signoris, che in poche scene costruisce una madre adottiva di Giovanni commovente benché lontana dai più triti cliché – nonché, di nuovo per curioso contrappasso, dalla temibile “mamma elicottero” per cui è nota nella comicità televisiva.

A dispetto del titolo banalotto, uguale a stormi di altre commedie italiane che tentano di sedurre il pubblico a colpi di superlativi, Il più bel secolo della mia vita merita dunque certamente una visione: nulla di inedito ma tutto molto ben centrato e, nella prima parte in particolare, anche parecchio divertente. Niente male per una commedia che porta avanti un tema sociale col giusto bilanciamento fra serietà e facezia e che, complici anche le splendide location da italica cartolina, non nasconde qualche ambizione da esportazione.